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Il sud riparte. Avvisare i cacicchi del No

Redazione

L’economia meridionale ha agganciato il resto del paese, bando al piagnisteo

Quando nel dibattito pubblico si parla di Mezzogiorno spesso lo si fa “per sentito dire” ed è di questo approccio che dobbiamo liberarci, ha scritto il direttore generale di Banca d’Italia, Salvatore Rossi, sul Foglio del 20 settembre. L’occasione per farlo è fornita periodicamente dalle analisi del centro Studi e Ricerche sul Mezzogiorno (Srm) di Intesa Sanpaolo che ieri ha pubblicato con Confindustria il “check-up” dell’economia meridionale. Declinisti, professionisti del pignisteo e concimatori di malcontento saranno delusi. Il pil del Mezzogiorno aumenta per il secondo anno di seguito (più 1,3 per cento previsto nel 2017, contro l’1,5 nazionale). “Sebbene non ancora sufficiente per tornare ai valori del 2007, si tratta di un balzo in avanti davvero significativo”, dice l’Srm. Le esportazioni crescono (più 8,6) a un ritmo superiore al centro-nord. E mentre i trasferimenti pubblici diminuiscono, gli investimenti tornano a crescere spinti da quelli privati (più 13,2), soprattutto nell’industria (più 40) e nelle costruzioni (più 17,2) nel 2016 rispetto al 2015.

 

Ci sono “chiari segnali di irrobustimento del tessuto produttivo” dato l’aumento nel terzo trimestre di quest’anno del numero di imprese attive, circa 7 mila unità (più 0,4 per cento), che si confronta con un contemporaneo calo nel resto del paese (meno 0,1). Aumentano le società di capitali a un ritmo quasi doppio rispetto al centro-nord (più 17 mila nel terzo trimestre 2017 sul 2016), e cresce per la prima volta la quota di imprese con numero di addetti fra 10 e 49 (più 0,2). “Il Mezzogiorno prosegue la sua risalita: i risultati consolidati negli ultimi due anni e le previsioni per il prossimo sembrerebbero confermare che la ripartenza dell’economia meridionale ha agganciato in maniera stabile quella del resto del paese, nonostante i numerosi fattori di freno […] esistono effettive potenzialità per la progressiva riduzione dei divari” (è ora di superare la Questione meridionale?). Ci sono fattori critici. Uno è l’alta quota di giovani che non studiano né lavorano (1,8 milioni, quasi il 60 per cento del totale). L’altro – aggiungiamo – è il rischio politico dei veti locali evidente dall’opposizione strumentale della Regione Puglia a Ilva e al Tap che minaccia investimenti esteri e va contro la politica industriale governativa, dati gli sgravi appena approvati (per 1,3 miliardi) alle imprese energivore. Con una prospettiva moderatamente positiva è sperabile che questi lucri non sia frustrati da un piglio repellente dei politici locali.

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