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La Corte di giustizia Ue scarica Uber

Maria Carla Sicilia

Per i giudici europei l'azienda statunitense fornisce un servizio di trasporto e per questo dovrà essere regolamentata dai singoli governi nazionali degli stati membri 

La Corte di giustizia europea si è espressa oggi su Uber, fugando il dubbio che è all'origine dei suoi guai giudiziari nei diversi paesi dove opera: è una compagnia di trasporto o un fornitore di servizi online? Secondo i giudici europei si tratterebbe di una vera e propria compagnia di trasporto e in quanto tale deve essere regolamentata dai singoli stati europei. 

   

   

Fino a ora Uber si è presentata come un "servizio della società dell'informazione", limitandosi a rappresentarsi come una piattaforma digitale che mette in collegamento i suoi conducenti – autonomi e con le proprie automobili – con i passeggeri che vogliono usufruire del servizio. Da qui erano sorte le controversie legali in diversi paesi, in ultimo il Regno Unito, che in nome di una maggiore sicurezza aveva bandito il servizio, e le proteste dei tassisti, in Italia, Francia e Spagna. La sentenza di questa mattina ha origine proprio da un ricorso presentato da un'associazione di conducenti di taxi di Barcellona che ha accusato l'azienda di "pratiche ingannevoli e atti di concorrenza sleale". 

Rientrare nel raggio delle aziende digitali, su cui la legislazione dell'Unione europea sta lavorando per colmare dei vuoti, spiazzata dal proliferare di società come Uber, ha permesso all'azienda statunitense di evitare le leggi nazionali che gravano su tassisti e società di trasporto: dalle licenze per gli autisti a tutti gli standard previsti dai 28 paesi membri dell'Unione. Una semplificazione che ha contribuito a fare la fortuna di Uber, in pochi anni valutata 70 miliardi di euro. Nell'ambito del trasporto invece ogni governo ha licenza di intervenire come meglio crede: l'attività di taxi o di altre aziende che organizzano spostamenti non è mai stata concepita in termini transfrontalieri, quanto invece limitata ai confini nazionali. L'arrivo di Uber in Europa, nel 2012, ha stravolto l'assetto normativo europeo sul tema, portando con sé altre aziende simili che lavorano nell'ambito della sharing economy ed evidenziando un vuoto normativo che solo adesso i giudici stanno iniziando a colmare. 

     

Ancora prima di sapere il verdetto della corte, Uber ha commentato dicendo che la decisione avrà un impatto limitato sul suo lavoro perché già in diversi paesi europei le proprie flotte di automobili sono conformi alle normative nazionali. L'azienda offre di fatto diverse opzioni di trasporto: da UberPop, che coinvolge autisti non professionali, a UberBlack, il servizio di lusso offerto da conducenti con licenza. In questo modo, differenziando i servizi, Uber ha costruito un paracadute da usare nel caso di giudizi come questo. Un paracadute che tuttavia non potrà proteggere l'azienda dalla confusione che può generarsi con 28 diverse normative da rispettare e 28 diversi governi con cui contrattare, solo in Europa. “Qualsiasi decisione non cambierà le cose nella maggior parte dei paesi dell’Ue in cui operiamo già in base alla legge sui trasporti”, si legge in una dichiarazione. “Tuttavia, a milioni di europei è ancora impedito l’utilizzo di app come la nostra. Vogliamo collaborare con le città per garantire che tutti i cittadini possano richiedere un passaggio con il semplice tocco di un pulsante”.

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