(foto LaPresse)

Lo shale di Trump s'espande nel Mediterraneo

Gabriele Moccia

In questi giorni sbarcherà a Livorno un carico di shale gas americano proveniente dal terminal di Sabin Pass in Lousiana, nel golfo del Messico

Roma. Saranno state le parole del neo presidente eletto Donald Trump e le aspettative legate alla sua agenda energetica o i tentativi dell’Opec – il principale cartello dei paesi produttori di greggio – di limitare la sua quota complessiva di produzione petrolifera così favorendo altri player, sta di fatto che gli Stati Uniti sembrano tornati alla ribalta del mercato energetico internazionale con una nuova offensiva che riguarda anche l’Italia. In questi giorni, infatti, sbarcherà a Livorno un carico di shale gas (gas di scisto) americano proveniente dal terminal di Sabin Pass in Lousiana, nel golfo del Messico. Dopo anni di attese, si tratta della prima fornitura di gas naturale liquefatto americano in Italia. L’operazione è stata conclusa dal trader energetico tedesco Uniper (scorporato pochi mesi fa da E.On) che, vincendo una gara per l’approvvigionamento indetta dal ministero dello sviluppo economico, ha acquistato 63 milioni di metri cubici di gas naturale per le cosiddette operazioni di livellamento delle punte (peak shaving), ovvero l’incremento della fornitura di gas naturale, durante i periodi di domanda elevata o di emergenza, realizzato utilizzando gas naturale liquefatto (Gnl) stoccato in serbatoi attraverso la rigassificazione, come appunto avverrà a Livorno.

“Uniper darà un tangibile contributo alla sicurezza delle forniture di gas italiane durante l’inverno”, dice al Foglio la società tedesca, che detiene una quota del 48 per cento del rigassificatore di Livorno. Il gas che arriverà in Italia appartiene alla società americana Cheniere Energy, che è stata una delle prime compagnie energetiche americane ad investire sugli impianti che consentono di trasformare lo shale gas in Gnl e che non a caso è stata anche la prima a far arrivare il gas americano in Europa lo scorso aprile, per rifornire la portoghese Galp. Come sostiene Melissa Star, a capo del settore energia di Accenture: “Il Gnl in uscita dagli Stati Uniti è probabilmente il fattore più importante per la trasformazione del mercato energetico futuro, è l’annuncio dell’arrivo di un mercato veramente globale per gli Stati Uniti”. I primi carichi sono già arrivati in Portogallo e Spagna, mentre la Grecia è interessata.

Per quanto riguarda l’Italia, dell’utilizzo del gas americano come fonte alternativa per ridurre la dipendenza dalla Russia si parla da tempo. Le criticità che finora avevano rallentato il percorso erano legate sia alla crisi dei frackers (i produttori di shale gas negli Stati Uniti) colpiti dalla tempesta del cheap oil sia dalla cronica carenza italiana di rigassificatori – solo quello offshore di Livorno sembra essere utilizzabile soprattutto per un fattore di brevità di rotte delle navi. La stessa Enel, che nel 2014 aveva stipulato due accordi ventennali per l’acquisto di shale gas, non ha mai manifestato il concreto stimolo di renderli operativi per il mercato italiano. Lo scenario potrebbe presto cambiare. Dopo l’elezione di Trump e l’accordo Opec, l’industria estrattiva americana è, infatti, tornata a crescere. Baker Hughes ha comunicato che questa settimana i pozzi realizzati negli Stati Uniti sono stati 19 toccando la quota complessiva di 471, il maggior incremento degli ultimi 16 mesi, mentre in Texas è stato scoperto di recente il più grande giacimento di shale oil (petrolio da argille bituminose). Secondo le stime di Ken Medlock, del dipartimento di Energia della Rice University a Houston, contiene circa 20 miliardi di petrolio. Se così fosse, sarebbe secondo solo al campo Ghawar dell'Arabia Saudita, che è il più grande del mondo. Una febbre produttiva che potrebbe contribuire a rendere i prodotti energetici americani meno costosi e più convenienti per il mercato europeo. Questa è la scommessa di Trump che ha più volte ribadito la volontà di abbattere tutti i limiti alla produzione energetica imposti dall’Amministrazione Obama, una ventata di deregulation che potrebbe presto passare per l’abolizione del veto imposto dall’ex presidente per le trivellazioni petrolifere nell’Artico, che da sempre fanno gola alle oil companies americane. 

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