Il governatore della Bce Mario Draghi (foto LaPresse)

Il paradosso delle "restrizioni accomodanti" delle Banche centrali

Maurizio Sgroi

Da una parte si “tira” la cinghia della politica monetaria. Dall’altra le condizioni finanziarie sono insolitamente accomodanti e trasmettono una sensazione di allentamento piuttosto che di restrizione

Roma. Viviamo tempi paradossali, suggerisce la Banca dei regolamenti internazionali (Bri), nella sua ultima Quarterly review a commento degli andamenti economici e finanziari globali. Il paradosso consiste nel constatare l’involontario tira e molla nel quale la realtà si è incaricata di trasformare le buone intenzioni delle banche centrali. Da una parte hanno iniziato a “tirare” la cinghia della politica monetaria. Dall’altra osservano sconcertate condizioni finanziarie insolitamente accomodanti che trasmettono una sensazione di allentamento piuttosto che di restrizione.

  

“In realtà – sottolinea Claudio Borio, capo del Dipartimento monetario ed economico della Bri – questa situazione paradossale non è completamente nuova. Essa ricorda le misure di inasprimento della Fed negli anni Duemila, che avevano generato l’oramai noto ‘enigma di Greenspan’. Allora le condizioni finanziarie si erano allentate, mano a mano che la Federal Reserve aumentava i tassi”. Proprio come accade oggi: “Persino nel contesto di graduale rimozione dello stimolo monetario da parte della Fed – dice la Bri –, le condizioni finanziarie si sono allentate ulteriormente negli Stati Uniti e a livello mondiale”. Solo le valute sembra ne abbiano risentito, arrestandosi e in parte invertendosi la tendenza al deprezzamento del dollaro che si osservava da un anno. I rendimenti a lungo termine, invece, sono rimasti molto bassi, portando in alto le valutazioni degli asset. La volatilità, infine, è rimasta ai minimi storici. “Le sorti di quasi tutte le classi di attività sono parse legate all’andamento dei rendimenti dei titoli di stato”, commenta la Bri. Sorti più che buone. A fine novembre l’S&P 500 era salito del 14 per cento da inizio anno e del 5 da settembre. Le Borse dei mercati emergenti sono crescite di quasi il 30 da e quelle giapponesi del 15. Meno di tutte le azioni europee, con il 7. Queste performance sono state alimentate da dati economici positivi che arrivavano un po’ da tutto il mondo. La fiducia dei consumatori ha raggiunto i massimi in Germania, Giappone e Stati Uniti. I consumi sono aumentati e con la loro anche la spesa per investimenti, grande assente in queste anni di crisi. C’è stata persino una ripresa del commercio e dei mercati del lavoro. Un quadro roseo nel quale spuntano come spine i dati sui livello dei prezzi: “Le spinte inflazionistiche sono rimaste eccezionalmente modeste nella maggior parte delle economie avanzate”, nota la Bri. Tali condizioni ricordano il ciclo di rialzo dei tassi iniziato a metà degli anni Duemila, salvo che all’epoca, a differenza di adesso, il National financial conditions index (Nfci) della Fed di Chicago, indicatore che misura il livello delle condizioni finanziarie, aveva mostrato un inasprimento. E secondo gli analisti della Bri una delle chiavi della spiegazione è il calo dei premi a termine che ha spinto al ribasso i tassi attuali.

  

Il premio a termine rispecchia i rendimenti aggiuntivi che un investitore riceve quale compensazione per l’esposizione al rischio di durata finanziaria. Acquistando titoli a lungo termine la Banca centrale socializza questo rischio e così facendo lo abbassa, finendo col deprimere il livello dei tassi. Il recente calo dei premi a termine, tuttavia, “è persino più sorprendente adesso rispetto al 2005”, perché si verifica proprio quando le Banche centrali hanno annunciato che usciranno gradualmente dal mercato degli titoli, proprio per “allentare la pressione sui premi a termine, compressi dagli acquisti di attività su larga scala”. E tuttavia qualcosa sembra esser sfuggito al controllo degli “oracoli” monetari. E ciò potrebbe essere diretta conseguenza del fatto che hanno comunicato fin troppo esaurientemente ai mercati, volendoli rassicurare, i propri intendimenti. L’azione di restrizione ha perso credibilità perché le Banche centrali hanno credibilità quando dicono che procederanno gradualmente: ecco lo squisito paradosso delle “restrizioni accomodanti”. Necessariamente tali perché devono seguire il sottile crinale di un debito in crescita che deve essere servito e che minaccia rovine qualora la sottile patina di ghiaccio sulla quale pattinano felici i trader dovesse incrinarsi. “Ci troviamo ancora di fronte ad alti livelli di debito – avvisa Borio – e a valutazioni spumeggianti, sostenute a loro volta dai bassi rendimenti dei titoli di stato. La quiete sul breve periodo si ottiene a scapito di possibili turbolenze nel lungo periodo”. Insomma, gli abissi del caos finanziario non sono spariti. Sono sotto quella patina sottile di ghiaccio. E laggiù fa molto freddo.

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