Perché anche l'Italia non crea la sua Ecole 42?

Claudio Cerasa

In Francia Xavier Niel ha fondato una scuola privata di programmatori per investire sul futuro tecnologico del paese. Invece di parlare di bonus e pensioni, cosa aspetta la politica italiana a seguirne l’esempio? Una proposta (fattibile)

Xavier Niel è uno degli imprenditori più famosi di Francia, è in possesso di un patrimonio di 6,8 miliardi di euro, nel 2010 è entrato con una quota di maggioranza nel quotidiano Le Monde e prima di fondare una delle aziende di telefonia più famose del paese (Iliad) – con cui nel 2015 ha acquistato una quota di Telecom – è diventato famoso per aver investito in molte aziende tecnologiche: Square, un servizio per i pagamenti da smartphone; Deezer, un servizio per la musica in streaming simile a Spotify; Free, che oggi è il secondo più grande internet provider della Francia; Station F, che oggi è il più grande incubatore di startup del mondo. Negli ultimi anni però la ragione per cui Niel è diventato uno dei personaggi centrali del dibattito pubblico francese è legata non a un’attività strettamente imprenditoriale ma a un tentativo culturale di trasformare la Francia in una impresa tecnologica a cielo aperto. La storia forse la conoscete, è quella dell’Ecole 42, una scuola per programmatori, totalmente privata e non riconosciuta dallo stato, per la quale Niel nel 2013 ha stanziato 200 milioni di euro, per provare a fare quello che nessuna scuola pubblica oggi sembra essere attrezzata a fare: creare un ecosistema non virtuale per permettere a migliaia di ragazzi di condividere informazioni, idee e progetti per provare a diventare gli imprenditori tecnologici del futuro.

 

L’idea, ha raccontato Niel a Wired, è nata per rispondere a due esigenze: “La prima è che per essere un grande paese nel campo della tecnologia devi avere programmatori, e in Francia non li avevamo. La seconda ragione è che le scuole per questo tipo di studi sono estremamente costose. Così abbiamo pensato di crearne una libera, dove gli studenti che passano i test possano avere accesso, e appartamenti per vivere, che offriamo noi”. La storia è stata raccontata, ma vederla da vicino come ci è successo ieri passeggiando per Parigi – in questo palazzone disteso su tre piani a due passi dalla périphérique (la tangenziale) tra tremila ragazzi tra i 18 e 28 anni, distese di computer, infinite riunioni, infiniti progetti, infinite programmazioni (alle 8.42 ogni mattina, agli studenti viene assegnato un progetto digitale da completare, gli studenti hanno 48 ore per terminarlo e ogni giorno così fino al raggiungimento del proprio obiettivo) – aiuta ad accendere alcune lampadine su una grandeur che la Francia ha e l’Italia meno. Cosa aspettano la classe dirigente italiana e la nostra classe politica a fare due passi nel diciassettesimo arrondissement parigino e capire che il vero e grande incubatore del futuro non è un bonus giovani, una doppia moneta, una promessa sulle pensioni, un reddito di cittadinanza, ma è qualcosa di più importante, qualcosa perfettamente incarnato dal progetto di Niel? Quel qualcosa, più profondo di uno sgravio fiscale o di un bonus in busta paga, lo potremmo sintetizzare così: dare ai ragazzi un’occasione per progettare il loro domani e far sì che il proprio paese possa avere un futuro diverso rispetto a quello della semplice difesa della rendita.

 

L’esperimento di Niel contiene un elemento inafferrabile che coincide con l’idea di voler creare un mondo dove gli algoritmi contano più della conoscenza e dove gli studenti imparano qualcosa senza aver bisogno di esperti e insegnanti (Casaleggio sarebbe fiero di Niel). Ma allo stesso tempo l’esperimento contiene anche un elemento rivoluzionario che coincide con l’investimento su una generazione tecnologicamente attrezzata (l’80 per cento degli studenti che si formano qui trova lavoro prima della fine del percorso didattico, una cifra che viene stimata essere del 100 per cento per chi completa i corsi della durata di 5 anni) e che oltre a essere contemplato andrebbe anche riprodotto. 

 

Già, ma come si fa? Una strada c’è, e se ci fosse una campagna elettorale impostata più sulla costruzione del futuro che sulla glorificazione del passato le forze politiche di ogni colore dovrebbero fare due calcoli rapidi per capire che la soluzione è ovvia e che i soggetti da prendere in considerazione ci sono e sono questi: gli imprenditori che sognano di riproporsi come buoni mecenati del paese; il ministero della Difesa che non sa come utilizzare le circa cento caserme inutilizzate non ancora dismesse; il Demanio pubblico che ha in pancia circa 25 caserme appena dismesse dalla Difesa il cui destino è però ancora incerto; la Cassa depositi e prestiti che a gennaio ha stanziato un gruzzoletto di 600 milioni di euro da investire nel Venture Capital e nel trasferimento tecnologico e che in parte sono stati utilizzati (come è stato fatto qualche settimana fa a Treviso, con un consorzio, guidato dalla Cattolica assicurazioni e da Cdp, nato per realizzare un polo dell’innovazione da 101 milioni di euro, in grado di ospitare complessivamente oltre 3 mila persone, tra studenti, giovani startupper, docenti, imprenditori e manager) e in buona parte sono ancora lì alla ricerca di un autore. Direte forse: e tutto questo, per fare cosa? Semplice: realizzare una Ecole 42 in ogni grande città italiana, far emergere gli Xavier Niel del nostro paese e dargli la possibilità di investire sul futuro dell’Italia, dare infine ai ragazzi non un sussidio per andare avanti ma uno spazio per costruire il proprio futuro. In Francia Ecole 42 non ha iniziato solo a formare una nuova generazione ma ha fatto emergere una domanda mostruosa di investimenti in formazione tecnologica. All’inizio del percorso sono stati in 64 mila ad aver affrontato un test logico online per accedere alla scuola. Di questi, ne sono passati 20 mila. Di questi 20 mila ne sono stati accolti 3 mila. Il tasso di abbandono si aggira fra il 5 e il 15 per cento. Nella giornata di ieri abbiamo contattato i vertici di Cdp, del Demanio e della Difesa per sondare la loro disponibilità al progetto. Tutti hanno dato la loro disponibilità. Cosa aspettiamo a costruire anche in Italia la nostra grandeur tecnologica?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.