I professionisti del Niente

Redazione

L’Italia dei No e quella dei Ma. Parola d’ordine: avversare qualsiasi progresso

L’Italia finirà il 2017 con il record storico di esportazioni: 450 miliardi, più 7 per cento rispetto al 2016. Trend superiore alla Germania e anche alla media del pur vivace commercio mondiale, in aumento del 4,6 per cento. D’accordo che questo non si traduce ancora appieno in consumi interni, e che non tutte le aziende ne sono beneficiate. Eppure un export di oltre un quarto del pil fotografa un sistema imprenditoriale in salute – soprattutto per l’omogeneità con la quale si impone nelle diverse aree del mondo, dal nord America all’Europa alla Cina – e, last but not least, per il recupero nell’e-commerce. Come sottolinea l’Istituto per il commercio estero, non si tratta più solo di lusso: nel 2018 si batterà sull’integrazione tra grande distribuzione e piattaforme digitali, che già oggi vale il 75 per cento degli acquisti degli americani e dei cinesi. Eppure, come ha ricordato il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda al convegno del Foglio del 6 dicembre “A un anno da Trump. Mercato, politica, protezionismo, agricoltura”, quando Stati Uniti ed Europa negoziarono con Barack Obama il trattato su commercio e investimenti, noto come Ttpi, un ampio fronte del No si coagulò in Italia in nome del localismo a chilometro zero alla Carlin Petrini. E perfino il Ceta, l’accordo limitato al Canada entrato in vigore il 21 settembre, è già bersaglio dei no global, di Lega e Fratelli d’Italia, della sinistra antirenziana, e soprattutto dei 5 stelle: questi ultimi al grido di “Muore la democrazia, fermiamo il Ceta!”.

 

L’Italia del No, che oggi in Puglia si mette contro l’Ilva di Taranto (una crisi costata 16 miliardi, secondo il Sole 24 Ore) e al Tap, così come ieri ce l’aveva con l’Expo e il Mose, e prima dava l’assalto ai cantieri della Tav, e negli anni Novanta all’alta velocità sotto l’Appennino. E però c’è poi, oltre a quella del No, anche l’Italia del “Ma”. L’Istat ha diffuso dati positivi sul lavoro, con 79 mila nuovi occupati nel terzo trimestre e 303 mila su base annua. Aumenta anche la popolazione attiva e si riduce la categoria detta degli “scoraggiati”, soprattutto giovani. Le statistiche sono delle medie. Invece ecco subito l’Italia del Ma alzare il dito: per la Uil “si tratta solo di lavoretti”, per la Cgil “di deboli e precari”, benché il suo centro studi Ires rilevi “aumenti di occupazione record, soprattutto al nord”. E per i grillini, ovvio, “è tutto un bluff”. Ancora: cresce il reddito medio familiare a 30 mila euro netti annui: per l’Istat “un significativo e diffuso aumento del potere d’acquisto”. “Macché” risponde il Ma, “aumentano povertà e diseguaglianze”. Quelli del No e quelli del Ma si ricongiungono nel fronte del Niente: obiettivo smantellare le riforme, a partire dal Jobs Act benché i risarcimenti raggiungano il record europeo di 24 mesi contro i 20 della Francia, i 18 della Germania, i 7,8 del Regno Unito. Volete mettere: meglio assistiti e pensionati in Puglia, che ingegneri a Milano.

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