Come usare il tempo (non infinito) di Draghi. Parla Giavazzi

Alberto Brambilla

I governi “non dovrebbero continuare a coltivare l’illusione che i tassi di interesse saranno a zero per sempre”

Roma. Giovedì la Banca centrale europea ha esteso il programma di acquisto di obbligazioni fino al settembre 2018 – o oltre se necessario – ma ha dimezzato l’ammontare di acquisti mensili da 60 miliardi a 30 miliardi di euro. Il fatto che il presidente Mario Draghi abbia preferito parlare di “ricalibratura” del programma anziché di “tapering” (una pratica di riduzione degli stimoli propria della Federal reserve e non della Bce) non ha cambiato la percezione degli operatori. Ovvero che la politica monetaria super-accomodante non durerà in eterno e non andrà oltre il mandato di Draghi, in scadenza nell’ottobre 2019, evento che potrebbe essere preceduto dalla prima stretta sui tassi d’interesse.

  

E’ questo, due anni circa, lo spazio temporale che i governi hanno a disposizione per “proseguire e a implementare le riforme”, come ha detto giovedì Draghi, approfittando di un ambiente macroeconomico favorevole proprio perché agevolato da una politica monetaria accomodante.

  

Secondo Francesco Giavazzi, professore di Economia politica all’Università Bocconi, i governi “non dovrebbero continuare a coltivare l’illusione che i tassi di interesse saranno a zero per sempre”. In questo senso la rivolta da parte della sinistra e della Lega contro l’innalzamento a 67 anni dell’età pensionabile, indicizzato alla aspettativa di vita, a partire dal 2019, non fa ben sperare, nota Giavazzi. L’errore da non ripetere è quello di abituarsi al fatto che la spesa non costi nulla. A tal proposito Giavazzi ricorda che le politiche fiscali espansive italiane degli anni Settanta sono state strozzate a inizio anni Ottanta dalla stretta della Federal Reserve di Paul Volcker, il che ha richiesto un aggiustamento del bilancio pubblico di durata decennale. “Con il beneficio dei tassi bassi è più facile fare le riforme, ma è fondamentale la consapevolezza che non durano all’infinito: se si interviene in ritardo, infatti, qualsiasi riforma sarebbe percepita come una mossa della disperazione, e quindi impopolare”.

  

Come usare il tempo dunque? “Aprire l’economia. Abbiamo un problema di crescita strutturale: siamo arrivati tassi dell’1,5 del pil. Ma la nostra crescita potenziale è dello 0,8 per cento, secondo il Fondo monetario internazionale. Alzare il potenziale ha a che fare con la concorrenza, l’istruzione, e la produttività”. Secondo Giavazzi è necessario invertire l’approccio sostenuto, pur ragionevolmente, dal governo Renzi nel 2014-15 attraverso uno stimolo della domanda, con bonus a favore dei consumatori, mentre adesso bisogna agire dal lato dell’offerta. “Il problema dell’Italia, e di altri paesi, è che lo spazio in cui funzionano il mercato e la concorrenza è troppo stretto perché la Pubblica amministrazione, nelle sue varie forme, è infinita: lì non ci sono spazi di concorrenza, che vuole dire efficienza e produttività. Se guardiamo al tasso di crescita della produttività delle imprese in Italia è certo basso in aggregato, ma da solo non dice niente. Se dividiamo tra società pubbliche e private, vediamo che la produttività in quelle pubbliche è molto più bassa rispetto a quelle private”. Secondo Giavazzi, concedere a privati la gestione aziende pubbliche in un regime di concorrenza risolverebbe parte del problema. “E poi diciamo spesso che l’amministrazione pubblica è uno dei pesi di questo paese ma è una funzione diretta della mole di leggi presenti – e allora cominciamo a ridurre il numero di leggi e di norme, a capire che ogni norma in più richiede un burocrate in più che l’amministra”.

  

Giavazzi, infine, avanza proposte che non riguardano interventi strutturali, in senso tecnico, ma di cambiamento della mentalità. “Anziché spendere tanto tempo a guardare indietro, abbiamo passato settimane a discutere sul passato, a rivedere la crisi bancaria, è il caso di guardare avanti con po’ di fiducia”, conclude. 

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.