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Il Monte dei Paschi di stato va in Borsa

Redazione

Perché guadagnare dalla grave avventura senese non è utopia per il Tesoro

Dopo dieci mesi di sospensione dalle contrattazioni la “banca degli orrori”, il Monte dei Paschi di Siena, ieri è tornata in Borsa con lo stato come azionista di maggioranza, al 70 per cento circa dell’istituto in seguito al soccorso da 5,4 miliardi di euro. Molti osservatori ora guardano il prezzo delle azioni per malignare su quanto il Tesoro vada perdendo. Il titolo ha chiuso la seduta a 4,55 euro. L’ultimo prezzo a dicembre era pari a 15,08 euro: chi all’epoca era azionista sta potenzialmente perdendo il 70 per cento – rimanere in sella sta al suo coraggio, va detto, dopo un decennio da incubo. Dal punto di vista del contribuente, il prezzo di Borsa è per ora inferiore ai 6,49 euro pagati dal Tesoro per la ricapitalizzazione (e agli 8,65 euro con cui comprerà le azioni degli ex possessori di subordinati che hanno potuto convertire le obbligazioni in possesso).

 

Siamo pronti alla smentita, ma l’obiettivo dello stato di guadagnarci dovendo cedere la sua quota entro il 2021 (o prima) non è irrealistico. Il governo cambierà il board di Mps probabilmente a novembre, punta a cedere entro la prima metà del 2018 quasi tutto l’ammontare delle sofferenze per 28,6 miliardi lordi, ha anche venduto attività raccogliendo circa 500 milioni. L’esempio virtuoso degli Stati Uniti, dove Fed, Casa Bianca e Congresso si unirono per concertare un intervento pubblico condizionato dalla logica del profitto, è una guida. Le Borse d’Europa sono vivaci, in particolare in Italia. Si parla di “bolle” ma non si prevedono scoppi. Inoltre nel frattempo il governo tedesco cerca un accordo per cedere la sua quota di Commerzbank a una banca estera (Crédit Agricole, BnpParibas o Unicredit?), per rientrare del prestito pubblico del 2010 e creare un colosso europeo. Questa può essere l’uscita dall’avventura senese per il Tesoro.

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