Pennarelli Fila (Foto tratta dal catalogo prodotti Fila)

Il disegno di Fila. Storia e successi del lapis italiano apprezzato nel mondo

Guido Fontanelli

Quando una matita può battere lo smartphone

Milano. Anche una matita, nel suo piccolo, può battere uno smartphone: negli ultimi cinque anni il fatturato della Fila, Fabbrica italiana lapis e affini, è cresciuto del 96 per cento, mentre quello della Apple del 38 per cento. Naturalmente sono due aziende di dimensioni non confrontabili, una gigantesca (macina oltre 200 miliardi di dollari di ricavi), l'altra decisamente più piccola (422 milioni di euro). Ma fa una certa impressione scoprire che un produttore di oggetti così poco “cool” come pennarelli e matite colorate possa non solo sopravvivere, ma addirittura mettere il turbo in un mondo dove telefonini e tablet invadono case e perfino aule scolastiche, come vorrebbe la ministra dell'Istruzione Valeria Fedeli. Un fenomeno singolare quello della Fila, che ha catturato anche l'interesse degli uomini in grisaglia della Borsa: dall'esordio nel 2015 a Piazza Affari l'azione della società ha guadagnato il 157 per cento.

 

La storia della Fila è insomma il classico esempio di come l’imprenditoria italiana sia ancora capace di stupire. Andrebbe idealmente inserita in un album accanto ai casi della Campari, della Recordati, dell’Ima e di tutte quelle aziende che si sono imposte sui mercati internazionali a colpi di acquisizioni, grazie a una attenzione maniacale sul prodotto e a una famiglia che ha saputo accettare le regole della trasparenza, tenendo ben separati gli interessi propri da quelli dell’impresa.

 

In fondo è proprio questa la chiave del successo della Fila. “A metà degli anni Novanta” racconta Massimo Candela, erede della famiglia che nel 1956 prese le redini dell’azienda, “la società era in una situazione critica: profitti azzerati e debiti in crescita”. La Fila allora camminava su due gambe: gli strumenti di scrittura capitanati dal mitico Tratto-Pen e i prodotti per colorare della Giotto. Diventato Chief executive officer nel 1994, Candela avvia una rivoluzione in due mosse: la prima è focalizzarsi solo sul colore (matite, pennarelli, pastelli, plastilina) puntando sulla clientela dei bambini, degli insegnanti e della casa, in modo da avere prospettive più sicure rispetto a quelle offerte dal mondo della scrittura, dove i clienti sono soprattutto le aziende e dove l'avanzata del digitale si faceva sempre più minacciosa. “Nel mercato del colore i concorrenti e i distributori sono più piccoli e gli utilizzatori non sono tanto sensibili al prezzo quanto alla qualità” spiega l’imprenditore. “Le mamme, le maestre vogliono acquistare prodotti buoni e innovativi per i loro ragazzi”.

 

La seconda decisione fondamentale è stata di diventare un campione internazionale. E non era una scelta facile: “A metà degli anni Novanta eravamo all'incirca al 30° posto nella classifica mondiale della aziende del settore” aggiunge Candela. “Quando partecipavamo alla fiera internazionale di Francoforte, la Paperworld, con il nostro dignitoso ma piccolo stand, i giganti tedeschi ci guardavano come un corpo estraneo, come gente che lì non ci doveva stare. Beh, ora siamo sul podio, tra le prime tre al mondo. E siamo senza dubbio la società del settore più profittevole (67,2 milioni di margine operativo lordo nel 2016, ndr) e quella meglio posizionata da un punto di vista strategico”. Oggi l'azienda italiana ha il 30-35 per cento del mercato globale della carta per uso artistico; l'8-10 per cento di quello dei colori per uso artistico e il 5-7 per cento degli strumenti per scuola e ufficio. Un risultato raggiunto grazie all'incontro con Banca Intesa che ha creduto nel futuro a colori disegnato da Candela: la banca nel 1999 è entrata nella Fila con una quota del 20 per cento attraverso un aumento di capitale, ha imposto il rispetto di tutte le regole previste per chi deve andare in Borsa e insieme al manager ha messo nero su bianco un piano di sviluppo ben definito.

 

Il piano di Candela era ed è semplice: “Vogliamo essere leader in tutto quello che è consumabile nell'astuccio dei bambini e sul tavolo dell'artista, dello studente e dell'hobbista che disegnano e dipingono: dalle matite colorate ai pennarelli, dalle tempere alla carta da disegno”. Con questo obiettivo in testa, la Fila ha avviato uno spettacolare piano di acquisizioni che l'ha portata a rilevare una ventina di aziende in giro per il mondo. Ora la società conta 20 marchi, 22 stabilimenti ed è presente in 150 Paesi. “Di solito scegliamo imprese che abbiano un marchio riconosciuto per qualità, che abbiano la produzione e che operino in un mercato importante, possibilmente dove ci siano tanti bambini e il tasso di natalità sia alto”. Per esempio, nel carniere della Fila è finita la francese Canson, un'azienda familiare con 500 anni di storia nota per la raffinatezza della sua carta da disegno. O l'indiana Wfpl-Doms che produce matite e altri prodotti di cartoleria. La storia di questa acquisizione merita una piccola digressione: Candela era in India e ascoltava un consulente che gli presentava una serie di possibili imprese da rilevare in quel promettente mercato. Ma la sua attenzione fu catturata dalla matita sul tavolo: era realizzata proprio bene. Chiese al consulente da chi era fatta quella matita e insistette per incontrare proprio quel produttore. E fu così che la Wfpl-Doms fu comprata dalla Fila ed è diventata una delle aziende indiane a più alto tasso di sviluppo in assoluto.

 

Convinto che il digitale non sostituirà mai la manualità del disegno, Candela vuole far crescere ancora la sua Fila: altre acquisizioni sono in vista, in un mercato estremamente frammentato che offre ancora molte occasioni. In attesa delle sue nuove mosse, si può cercare una lezione in questa avventura? “Forse la storia della Fila insegna che in Italia esistono gli strumenti per diventare leader internazionali. Ma l'imprenditore deve avere un grande amore per il prodotto, deve saper distinguere bene tra gli interessi personali e quelli dell'azienda, circondarsi di manager di qualità, essere trasparente. E rispettare il cliente: se lo tradisci non perdona».

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