Una veduta aerea di Roma (foto LaPresse)

Si vede il sollievo di una tassa piatta

Redazione

La cedolare secca sugli affitti dimostra che l’evasione si batte semplificando

La flat tax, una tassa piatta, può anche non essere una bacchetta magica capace da sola di generare crescita economica. Ma di certo è un’idea valida che aiuta a ridurre il peso del fisco e a far emergere un gettito altrimenti sommerso. L’evidenza si ha per la prima volta dalle stime ufficiali del ministero dell’Economia in relazione alla tassazione sostitutiva con aliquota unica al 21 per cento sugli affitti riconosciuta ai proprietari di case per sottrarre il reddito della locazione da quello complessivo, la cosiddetta “cedolare secca” sugli affitti. Lo scopo di combattere il fenomeno diffuso degli affitti in nero è stato parzialmente raggiunto, con un tasso di emersione pari al 45,6 per cento e con buone possibilità di raggiungere il pareggio proseguendo con questo regime.

 

Secondo il Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all’evasione fiscale e contributiva contenuto nell’allegato alla nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, in fatto di locazioni l’evasione tributaria (tax gap) è diminuita del 42 per cento, passata da 2,3 a 1,3 miliardi di euro, e la propensione all’inadempimento si è ridotta del 40 per cento tra il 2010 e il 2015. Dal punto di vista dei proprietari di immobili riuniti nell’associazione Confedilizia questa è l’occasione di lanciare l’idea (ieri sul Sole 24 Ore) di una cedolare secca anche sugli immobili commerciali, colpiti dalla concorrenza dell’e-commerce sui negozi fisici e dal lungo ciclo negativo dei consumi. Più in generale è interessante rilevare come il modello di una tassa piatta sia utile a ridurre la propensione all’evasione (propensione al gap) che appunto, sempre dal 2010 al 2015, è aumentata o al più è rimasta stabile per tutte le altre imposte considerate: Irpef da lavoro autonomo e impresa (61,4-67,2 per cento), Ires (24,1-27,7), Iva (26,3-26,4), canone Rai (30,4-36,6) e Imu (21,2-26,9; dal 2012). Questo dimostra che metodi di controllo fiscale complicati, intrusivi, e addirittura polizieschi, attraverso la raccolta di informazioni in banche dati difficili da gestire, non ottengono lo stesso risultato – e nemmeno ci si avvicinano – a quello dell’applicazione di una tassa semplificata, con aliquota unica, e relativamente bassa.

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