Disincanto a Saint-Nazaire

Redazione

Perché l’accordo Fincantieri-Macron non soddisfa il mercato

La Fincantieri ha proseguito anche ieri la discesa in Borsa portando al 14 per cento le perdite in tre giorni, dopo che la mattina del 27 settembre il titolo aveva toccato il massimo storico in attesa della conclusione, annunciata quel giorno al vertice franco-italiano di Lione, dell’acquisizione dei cantieri Stx di Saint-Nazaire. Non c’è dubbio che l’inversione di rotta, oltre che dal desiderio di capitalizzare i guadagni, sia dovuta alla governance uscita dal compromesso tra Gentiloni e Macron, magari anche frutto della passata esperienza di quest’ultimo nella banca Rothschild. Il 51 per cento in mano italiana ma con l’uno “prestato” dalla Francia, il vertice designato a Trieste ma con garanzie alla controparte su occupazione, organizzazione del lavoro e know-how, soggette a tagliandi continui e clausola di restituzione, non promettono un futuro agevole nella gestione di uno dei siti produttivi più sindacalizzati e difficili d’Europa, prima in mano ai coreani. D’altra parte neppure Fincantieri è un gioiello di produttività, anzi: il gruppo ha il doppio di commesse di Stx ma fattura 4,4 miliardi con 19.181 dipendenti, rispetto a 1,5 con 2.532 dei francesi. Dunque il valore prodotto pro-capite da Saint-Nazaire è due volte e mezzo quello degli stabilimenti italiani. Ai fini della valutazione del soft power italiano non è secondario il fatto che un precedente accordo sia stato stracciato dalla Francia in discriminazione di un’azienda di stato italiana. Per tutte queste ragioni il governo di Stx risulta limitato e conteso: fino a che punto è possibile decidere di produzione e forza lavoro in tempi rapidi?

 

Questo più che l’aspetto politico dell’accordo – che in quanto tale doveva soddisfare entrambe le parti che ne avevano fatto una questione nazionale – è il punto debole della joint venture. Si tratta del portato di due capitalismi di stato. La rivoluzione di Macron di procedere all’integrazione europea anche per via industriale – e non solo burocratica – va nell’unica direzione possibile. Ma la produzione non può reggere alla competizione di Stati Uniti e oriente se non poggia sulla produttività. E poiché molti campioni nazionali sono controllati dai governi questo implica radicali riforme mercatiste. Il consorzio Airbus, ibrido pubblico-privato francese, tedesco e spagnolo, vanta successi commerciali e ricavi vicini al leader mondiale Boeing (78 miliardi di dollari contro 94) ma il suo margine operativo vale un terzo. Egualmente i jet militari Tornado e Eurofighter hanno una qualità pari ai bombardieri e caccia americani ma costano di più (e non hanno dietro le spalle il Pentagono). Se l’accordo Fincantieri-Stx si allargherà alla Difesa (i due paesi collaborano già nelle fregate Fremm con Finmeccanica-Leonardo e Thales), con la diplomazia francese che supporta a tappeto le vendite di armi, miglioreranno sia l’integrazione sia i profitti. Ma intanto è necessario cambiare mentalità all’industria pubblica: ed è un compito non solo di Macron ma di tutta l’Europa.

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