LaPresse/Vincenzo Livieri

A piazza Indipendenza va in scena l'inadeguatezza della giunta Raggi

Maria Carla Sicilia

Scontri con la polizia e decine di persone ancora per strada. Ma dopo quattro anni di occupazione questa nuova "emergenza" si poteva evitare 

Per quattro giorni centinaia di eritrei si sono accampati a piazza Indipendenza, nei pressi della stazione Termini di Roma, dopo che sabato è stato sgomberato il palazzo che avevano occupato nel 2013. All'alba di oggi, per il secondo giorno consecutivo, la polizia è intervenuta per disperdere l'insediamento e tra scontri e momenti di tensione, ha svuotato la piazza. Resta però irrisolta la questione della collocazione dei migranti, tutti rifugiati politici che abitano nel quartiere da quattro anni e che adesso si trovano per strada. A prospettare una soluzione è stata la società che gestisce per conto di un fondo l'immobile occupato di via Curtatone, Idea Fimit, mettendo a disposizione sessanta alloggi a Rieti per sei mesi, a costo zero per il Comune. L'amministrazione ha invece individuato ottanta posti all'interno di uno Sprar a Torre Maura. Entrambe le proposte, insufficienti per ricollocare tutte le persone sgomberate, non sono state accettate dai rifugiati. 

  

La verità è che al Campidoglio manca, da anni, un piano per fronteggiare sia la questione dell'accoglienza sia quella abitativa e com'era prevedibile neppure la giunta a cinque stelle è riuscita a gestire le cose. “Mai più situazioni come Ponte Mammolo, senza un piano alternativo prima di uno sgombero”, aveva detto nel 2016 Laura Baldassarre, assessore ai Servizi sociali, all’indomani del suo insediamento. Una promessa rivolta alle associazioni che a Roma sono impegnate con i tanti migranti che ogni giorno arrivano e non sanno dove passare la notte. Non si era risparmiata neanche Virginia Raggi, quando in campagna elettorale ha partecipato a un confronto organizzato al Cinema Palazzo, spazio occupato di San Lorenzo. In quell'occasione, parlando a centri sociali e associazioni, il futuro sindaco ha avanzato la proposta di una carta dei “beni comuni urbani” che comprendeva, tra i dieci punti citati, anche la casa. Quello che da oltre dieci anni è un tallone d'Achille per la Capitale, Raggi l'aveva messo al centro del suo programma di governo, il settimo degli undici “passi per portare a Roma il cambiamento di cui ha bisogno”: il diritto all'abitare.

  

Dove siano finite queste buone intenzioni oggi, dopo lo sgombero del palazzo in via Curtatone, non è dato sapersi. Da sabato, quando il palazzo è stato svuotato lasciando all'interno solo famiglie con minori, fino a oggi, con il secondo sgombero di piazza Indipendenza da parte delle forze dell'ordine, nessuna dichiarazione è stata rilasciata da parte del sindaco o della giunta, impegnati evidentemente con altre questioni, come la nomina del nuovo assessore al Bilancio. Intanto, nella piazza vicino a Termini, forze dell'ordine e rifugiati politici si sono fronteggiati in scontri con scene da guerriglia: la polizia armata di idrante contro un centinaio di persone, tutti dispersi – fatta eccezione per una decina di irriducibili – per lo più donne di una certa età, che quando alla fine si sono allontanate hanno lasciato dietro di sé borsoni, coperte, vestiti, perfino dei quadri, tutto quello che sono riuscite a prendere sabato scorso, prima dello sgombero.

  

Eppure il Comune sapeva. “Sapeva che ci sarebbe stato lo sgombero dall'8 agosto”, dice al Foglio Veronica Alfonsi, presidente di Radicali Roma, “così ci hanno riferito alcuni assessori del municipio che erano presenti durante le operazioni della polizia a piazza Indipendenza”. C'era quindi il tempo di organizzare un censimento, “di liberare il palazzo, invece che sgomberarlo” anche considerando che “le persone che abitano in via Curtatone hanno ottenuto lo status di rifugiato politico, hanno iniziato percorsi di integrazione, molti sono nuclei familiari, alcuni lavorano e i bambini vanno a scuola in quel quartiere. Quelle persone stanno lì da quattro anni – continua Alfonsi – c'è stato tutto il tempo perché il Comune facesse tutto ciò che avrebbe dovuto fare, prima di arrivare a buttare le persone in mezzo alla strada”.

  

“Roma è una capitale europea – va avanti Alfonsi – serve riorganizzare il sistema attuando un'accoglienza diffusa in tutta la città. Il patrimonio immobiliare non manca, per creare piccoli insediamenti. Ma se non c'è una volontà politica ci si ritrova sempre a fronteggiare la questione di emergenza in emergenza”.