Il sigillo di Merkel: un “ombrello” quando si chiuderà il Qe

Renzo Rosati

Con l’idea del Fondo monetario il cancelliere disegna una nuova euro-architettura

Roma. Un Fondo monetario europeo (Fme) per finanziare le riforme di quei paesi della moneta unica che, pur animati da buone intenzioni, non possono permettersele per i vincoli di bilancio? L’idea, inizialmente del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, è stata rilanciata da Angela Merkel, assieme ad altre due proposte, anch’esse nel bouquet di leader ed esperti di provata fede europeista: un ministro economico unico dell’Eurozona e la creazione di un bilancio comune, ristretto alle sole questioni europee e dei paesi più virtuosi. Per l’euroministro, che assorbirebbe parecchi poteri della Commissione di Bruxelles, si è molto speso Emmanuel Macron. La condivisione del bilancio, e di parte del debito, era anche una vecchia idea italiana, accompagnata dagli Eurobond, tramontati. Modalità e tempi degli annunci tedeschi – la ripresa politica post-vacanze che culminerà nelle elezioni federali del 24 settembre – fanno pensare che la cancelliera voglia lanciare un doppio messaggio: l’Europa delle trattative minimaliste sui decimali (che sempre riguardino anche l’Italia) ha bisogno di una decisa spallata innovatrice, qualcosa di migliore – e di più oggettivo nei criteri – che quindi anche i tedeschi condividano. Inoltre, Merkel sente – come molti predecessori – la necessità di lasciare un’impronta su un’èra che finora già si caratterizza per lo straordinario successo economico e politico del suo paese. “E’ ciò che la Germania chiama dovere morale, e che molti europei interpretano arbitrariamente come egemonia”, dice al Foglio Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Société Générale e da tempo sostenitore di riforme dei meccanismi europei, compresa la creazione di un Fme. “Helmut Kohl fece l’unificazione, Gerhard Schröder rinnovò l’industria rimuovendo le incrostazioni sindacali. Merkel esercita già una leadership di fatto su un’Europa che è divenuta l’area più stabile e attrattiva del mondo, lo dimostra anche il fatto che la crisi coreana rafforza l’euro in quanto bene rifugio, mentre in passato si sarebbero comprati dollari”. 

 

“Tutto ciò – dice Lorenzo Bini Smaghi (LBS, come lui si sigla) – ha bisogno ora di un sigillo, un passo avanti rispetto alla insoddisfacente struttura attuale. Non si tratta solo di belle intenzioni: Germania e Francia ci lavorano da tempo, a livello operativo, con contatti tra i governi lontano dai riflettori”. La domanda scontata è se per l’Italia tutto questo sia un’opportunità oppure un altro ostacolo. “L’Italia, sulla questione migranti, ha dimostrato di poter stare alla pari in un gruppo di testa europeo. Nella visione franco-tedesca, per l’economia questo gruppo coincide con l’euro. L’Italia deve esserci, deve trattare ora e scambiare informazioni, non per obbligo ma perché le conviene. Purtroppo abbiamo l’incertezza elettorale”, dice il banchiere italiano.

 

Agli antipodi è l’opinione di Paolo Savona, economista monetarista di livello internazionale, da tempo euro-deluso (più che euro-scettico). “Non potrà cambiare nulla – dice – se non si danno alla Banca centrale europea i poteri di battere moneta e manovrare il cambio. Solo in questo può essere la vera sovranità dei cittadini europei. Il resto è puro contorno. Anzi porta a compimento, con il sostegno di Macron, il disegno egemonico-luterano della Germania, secondo il quale il benestante va premiato, e chi resta indietro va punito”. C’è insomma il sospetto che la Germania resti guardiana matrigna sebbene sia da vedere se il paese egemone potrà esercitare coercizione pure in un organismo collegiale come il Fondo europeo o se, al contrario, proprio questa architettura ne limiterà le ambizioni di potenza. Pur da posizioni distanti Savona, tuttavia, concede che un meccanismo più trasparente e oggettivo rispetto agli sconti sui decimali trattati ogni anno (a fatica) con Bruxelles può essere un passo avanti, “ma nulla più”. “Il 20 per cento della popolazione italiana che vive nel disagio vedrà il distacco sociale aumentare, non ridursi. Neppure con il Fondo monetario europeo, che finanzierà riforme di welfare solo in cambio di contropartite”.

 

Resta il fatto che il nuovo sistema dovrebbe nascere dalle ceneri dell’Esm (European stability mechanism), il fondo salva-stati operativo dal 2012 e dotato inizialmente di 700 miliardi. Con questo meccanismo si è intervenuti in Grecia, Portogallo, Irlanda e nel sistema bancario spagnolo. Oggi l’Esm ha in cassa 80 miliardi, suddivisi per pil dei paesi dell’euro. L’Italia è il terzo contribuente con il 17 per cento, dietro Germania e Francia. In più il progetto, nelle sue tre articolazioni (fondo, ministero e bilancio), subentrerebbe al paracadute del Quantitative easing della Bce, che dovrebbe chiudersi nel 2018. Anche per questo l’Italia deve svegliarsi, entrare nel gruppo di testa e tenere la velocità dei migliori.