Angela Merkel (foto LaPresse)

Il dogma percepito

Alberto Brambilla

Nell’Eurozona in ripresa e più permissiva la propaganda sulla Germania matrigna è bislacca

Roma. I partiti populisti non ottengono grandi performance elettorali nelle economie in crescita perché non possono capitalizzare il rancore popolare. Possono tuttavia insistere sulla presenza minacciosa di un nemico esterno, cangiante secondo l’onda del momento, di regola ingigantendone a dismisura le caratteristiche negative. Dagli anni Novanta la Lega è maestra nel raccogliere consenso paventando “invasioni”, prima dei migranti dal meridione d’Italia, poi dai Balcani, ora dall’Africa. Il Movimento 5 stelle, da partito di comuni cittadini senza esperienza politica eletti nelle istituzioni, fa della “cappa” della corruzione percepita il perno di una propaganda evergreen contro la “casta incompetente” dei politici esperti. Entrambi vedono nell’Europa e nell’euro il nemico esterno numero uno: una Spectre burocratica foriera di miseria senza la quale l’Italia sarebbe il paese della cuccagna grazie a spesa pubblica ad libitum che “il dito ossuto della Germania e la tracotanza delle banche” (Beppe Grillo, Avvenire, 19 aprile ’17) invece negano con feroce severità. Questa propaganda non ha premiato i partiti sovranisti in Olanda e Francia. Ora si dimostra bislacca davanti a dati di realtà implacabili.

 

L’Europa ha invertito uno scenario da 1930, cresce a un passo modesto ma costante da diciassette trimestri, e i tassi di crescita previsti per i prossimi due anni suggeriscono che la crisi è alle spalle, per ora. Nella prima metà del 2017 la ripresa accelera nella maggior parte delle economie dell’Eurozona. La Germania continua a crescere, la Spagna registra la migliore performance da due anni, Francia, Italia e Olanda segnano miglioramenti stabili nell’economia reale. Non è un boom, ma anche i paesi più colpiti manifestano segnali di forza, come la Grecia. Il tasso di disoccupazione cala – ergo non è una ripresa in assenza di lavoro. Questo è dovuto in larga misura all’estro della Banca centrale europea di Mario Draghi che dal 2015 ha dispiegato un programma di stimoli che si è dimostrato l’agente principale capace di produrre politiche anticicliche usando la leva della politica monetaria. Dalla sua nomina nel 2011 Draghi ha trovato consenso nell’establishment tedesco, in passato refrattario all’acquisto di titoli pubblici di paesi indebitati, lanciando il Quantitative easing (Qe), che ora si presume in esaurimento.

 

I verbali della riunione Bce di giugno suggeriscono che Draghi non darà indicazioni al simposio di Jackson Hole a fine agosto e che il Consiglio direttivo deciderà sulla base dei dati sull’inflazione di fondo – lontana dal target del 2 per cento – prima di annunciare se ridurrà gli acquisti mensili dagli attuali 60 miliardi a zero nella prima metà del 2018. A un mese dalle elezioni federali in Germania, il ministro delle Finanze, il “falco” Wolfgang Schäuble, ha difeso Draghi dai dubbi sulla legalità del Qe avanzati dalla Corte costituzionale tedesca che mercoledì ha chiesto parere alla più alta corte europea. Al contrario della vulgata sovranista, Berlino si è dimostrata tutt’altro che rigida di recente. A giugno la Bce ha comprato più titoli di stato italiani e francesi derogando ulteriormente dalla regola del “capital key” – un tempo sacra a Berlino – che consente acquisti di bond parametrati alla dimensione dello stato emittente. Lo scostamento dalla quota stabilita per Francia e Italia è di un miliardo di euro, quelli del Portogallo invece sono stati inferiori. E’ una rottura pragmatica, motivata anche dalla penuria di titoli idonei all’acquisto, di un equilibrio fondante dell’Eurosistema che si è finora basato sulla suddivisione dei rischi tra paesi. Ora questo approccio è in una fase ulteriore e più prossima all’idea di condivisione. La possibilità di modulare gli acquisti anche a favore di paesi a sud del blocco per diffondere la ripresa in modo omogeneo e liberare le banche, italiane soprattutto, dalla dipendenza dal rischio legato ai debiti sovrani è uno sviluppo molto distante dalla percezione di un’Europa succube dei “dogmi teutonici”. I partiti anti euro saranno anche lieti di constatare che la Bce non è esattamente una consorteria turbo-liberista piegata agli interessi delle società private dal momento che agisce essenzialmente nell’interesse pubblico. Dal giugno 2016 la Bce, attraverso sei Banche centrali nazionali, compra obbligazioni di società soprattutto pubbliche in particolare utility con rendite da monopolio – la classe d’investimento più prossima ai titoli di stato – con acquisti mensili dall’ammontare non lineare e contenuto. La cautela è appropriata perché la mano del “sovrano Bce” rischia di distorcere l’andamento del mercato, come d’altronde non può evitare di fare.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.