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L'avventura europea di Etihad finisce con il crac di AirBerlin

Alberto Brambilla

La strategia ardita della compagnia di Abu Dhabi si è scontrata con le perdite della low cost tedesca e l'immobilismo di Alitalia

Roma. Volare contro le convenzioni è stata la regola di Etihad. Ma l’ambizione di rivaleggiare con i colossi mondiali grazie alla disponibilità finanziaria potenzialmente illimitata del suo padrone, l’emirato di Abu Dhabi, si è rivelata fallimentare e costringe a un ripensamento della strategia.

 
Martedì Etihad ha ritirato il sostegno finanziario alla compagnia tedesca low cost Air Berlin che ha quindi presentato istanza di fallimento. E’ il secondo crac consecutivo nel giro di quattro mesi per le compagnie aeree di cui è diventata azionista cercando di crescere in Europa, dopo quello di Alitalia. Nel 2012 Etihad era entrata in Air Berlin – ieri colpita da pesanti vendite in Borsa – con una quota di minoranza (29 per cento), ma negli ultimi sei anni ha inanellato perdite per un ammontare complessivo di 2,7 miliardi. Stessa sorte per Alitalia (partecipata al 49 per cento dal 2014) posta in amministrazione straordinaria dal governo Gentiloni a maggio e ora sostenuta da un prestito pubblico da 600 milioni per superare la stagione estiva in attesa di trovare un compratore o di cedere asset. Etihad aveva investito complessivamente oltre due miliardi di euro nella compagnia tedesca e in quella italiana, calcola Ansa.

 
Etihad aveva scelto di procedere ad acquisizioni di quote di vettori in difficoltà finanziaria o operativa con l’obiettivo di creare una rete di compagnie regionali in modo da distribuire i voli nei principali aeroporti mondiali e alimentare l’aeroporto internazionale di Abu Dhabi, controllato da una sua società. Possedeva quote di minoranza in diverse piccole e medie compagnie – Air Berlin, Air Serbia, Air Seychelles, l’indiana Jet Airways, Virgin Australia, l’irlandese Aer Lingus e Alitalia.
La strategia di Etihad di creare un network attraverso alleanze azionarie per espandersi era poco battuta. I divieti europei al controllo con una quota di maggioranza di vettori continentali hanno limitato la sua capacità d’intervento a costanti iniezioni di liquidità, costosi re-branding, e alla pressione sulle aziende partecipate per tagliare i costi ed essere più efficienti. Proposito che ad esempio in Alitalia è stato disatteso anche per resistenze all’interno della compagnia. Swissair tentò qualcosa di simile ma fallì nel 2002.

 
I concorrenti mediorientali di Etihad, ben più robusti, perseguono un altro approccio. La più grande e matura compagnia del Golfo, Emirates – 217 aerei e 45 milioni di passeggeri – cerca una crescita organica aumentando le destinazioni, la flotta e le dimensioni degli aerei senza entrare in altre società. La seconda per dimensioni, Qatar Airways – 134 aerei, 18 milioni di passeggeri – investe in grandi vettori (Iag di British Airways e Iberia e LatAm) con cui fa accordi di condivisione delle linee, partecipa alla OneWorld Alliance, una delle tre grandi coalizioni di vettori mondiali, e ha un piede nell’aeroporto inglese di Heatrow, un avamposto privilegiato, attraverso il fondo sovrano qatariota.

 
La strategia di Etihad era considerata molto audace dagli analisti già all’epoca dell’ingresso in Alitalia – il suo target più ambizioso date le dimensioni– e ora comincia a scricchiolare seriamente mentre il suo amministratore delegato, l’australiano James Hogan, navigato manager artefice dell’espansione, è dato in uscita alla fine di quest’anno. La società considera “deludente” l’esito dell’avventura in Air Berlin che ora dovrà trovare un compratore o essere ceduta in pezzi. A un mese dalle elezioni in cui corre per il quarto mandato consecutivo, la cancelliera Angela Merkel ha detto di avere concesso una linea di credito da 150 milioni di euro ad Air Berlin, che ha uno staff di 8.600 persone, per non lasciare passeggeri a terra. Merkel ha aggiunto che i contribuenti tedeschi corrono un rischio “relativamente basso” di dovere pagare il conto del crac. Lufthansa ha detto che potrebbe comprare degli asset della sua (ex) rivale sul mercato domestico.

 
Come nel mito greco di Icaro, Etihad ha voluto volare troppo in alto e ha finito per precipitare. 

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.