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Il tic ambientalista della stampa british sommerge le navi di Venezia

Alberto Brambilla

Un attacco fumoso al business delle crociere in laguna che contribuisce in modo robusto al pil cittadino

Roma. Quando si parla di cose italiane la stampa anglosassone ha spesso il potere di trasformare il luogo comune in realtà. Nell’ultima settimana si sono esercitati sul “turismo di massa” a Venezia e sull’inquinamento delle grandi navi da crociera in Laguna il quotidiano britannico left-minded Guardian, il magazine del settimanale Economist “1843”, intitolato come l’anno della fondazione della rivista in cui si specchia l’élite finanziaria, e il liberal New York Times. Per oltre un secolo i veneziani non sono stati capaci di risolvere il conflitto intestino tra “modernisti” e “conservazionisti”, l’eterna disputa tra chi vorrebbe incoraggiare lo sfruttamento del turismo e chi invece preferirebbe conservare il patrimonio architettonico che 28 milioni di persone visitano ogni anno. Non c’è niente di più gustoso per gli osservatori esteri che infilarsi nella faida.

  

“Andate a Venezia? Non dimenticate la mascherina contro lo smog” è il titolo di un articolo del Guardian firmato da Axel Friedrich, un attivista dell’associazione ambientalista tedesca Nabu, che elenca impressioni, macrodati sulla mortalità da inquinamento in Europa, e rilevamenti in loco da parte del suo team. Il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Adriatico Settentrionale, Pino Musolino, ha definito questo stuolo di presunte prove “un polpettone indegno” in una intervista al sito Business Insider Italia. Musolino riferisce i dati della Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Veneto: le navi da crociera contribuiscono solo per l’8 all’inquinamento totale della città – il 15 proviene dai mezzi utilizzati per il trasporto pubblico locale – mentre in inverno la quota scende al 2. Tanto da utilizzare la mascherina per precauzione?

  

Anche l’Economist che ha vergato il reportage dal titolo lieve “non annega ma sta soffocando”, esalta il referendum ufficioso di giugno promosso dal comitato “No Navi” e dall’associazione Ambiente Venezia. Almeno 18 mila persone hanno votato per mettere al bando le navi da crociera nel centro storico. Non è il grande risultato che dipingono: ammesso che i votanti fossero tutti residenti significa che poco più dell’8 per cento dei cittadini si è espresso contro le grandi navi, dal momento che gli aventi diritto di voto nel comune sono 221 mila. Per assurdo si potrebbe desumere che il 90 per cento dei veneziani è favorevole ai “mostri del mare”. O forse, più semplicemente, per molti non è una questione fondamentale. 

  

Ad aggiungere una tinta malinconica alla crisi esistenziale veneziana ci ha pensato il New York Times (in un articolo commentato da Sofia Silva sul Foglio) lamentando l’invasione del turismo di “bassa qualità”. C’è da chiedersi quale sia quello di “alta” o se quello crocieristico non possa rientrare in questa categoria, se non altro per la capacità di spesa degli affluenti ospiti delle mega navi: i crocieristi sono una minima parte dei turisti che approdano a Venezia (fino a 120 mila al giorno) ma spendono una media giornaliera di 160 euro e contribuiscono in modo robusto al pil cittadino. Secondo la società di consulenza aziendale Prometeia, la spesa diretta dei crocieristi in Italia raggiunge 1,1 miliardi di euro, alla quale vanno aggiunti altri 300 milioni di spese delle compagnie e degli equipaggi. L’impatto in termini di pil considerando anche gli effetti indotti supera i 2 miliardi. Secondo le stime della Cruise Line International Association, l’organizzazione internazionale delle compagnie da crociera, l’Italia si ritaglia la quota di passeggeri più importante in Europa (22 per cento), seguita da Spagna (19) e Grecia (13). La capacità di attrazione dell’Italia è significativa: il 70 per cento dei crocieristi che visitano i porti italiani sono stranieri, rileva Prometeia. Civitavecchia è il porto più affollato, con oltre 2 milioni di passeggeri l’anno.

   

Tornando in Laguna, pochi sembrano preoccuparsi dell’uso improduttivo del patrimonio immobiliare pubblico nel territorio amministrativo di Venezia (Mestre e Marghera comprese) che è in larga parte gestito dal comune, per cui gli immobili o vengono affittati a prezzi ridicoli, poche decine di euro al mese, oppure, peggio, sono lasciati all’incuria. La stampa british che piace all’élite con l’hobby dell’ambientalismo potrebbe considerare che Venezia ha qualche difficoltà a estrarre valore da ciò che possiede, anziché mortificare le risorse turistiche con inchieste sull’inquinamento da crociera che non c’è.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.