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Se nel 2038 lo sciopero lo faranno i consumatori e non più i lavoratori

Alberto Brambilla

Consigli ai sindacati (moderni) per maneggiare la "gig economy" e non perdere una sfida che può essere raccolta solo adattando i metodi e gli strumenti ai tempi

Roma. Il potere di contrattazione dei sindacati è stato indebolito dalle recenti riforme giuridiche nazionali in materia di contrattazione collettiva in Europa. Molti sindacati devono quindi ripensare a chi servono e a come proteggere – e mantenere – il diritto dei lavoratori di contrattare collettivamente per condizioni migliori.

 

A meno che uno non sia un impiegato, tuttavia, non esiste una tale protezione. A questo proposito i piloti di Uber e quelli di Deliveroo o Foodora che consegnano pasti a domicilio sono in una zona grigia. Per molti nella cosiddetta “gig economy” (economia del concerto) non è nemmeno chiaro quale sia il loro vero datore di lavoro, dato che il lavoratore offre prestazioni a diverse aziende, come i ristoranti, contemporaneamente attraverso una app.

 

Quest’anno i fattorini di Deliveroo e Foodora, un’altra app per consegna di pasti a domicilio, hanno protestato a Milano, dove la domanda di questo tipo di servizi è in rapida crescita, come a Roma del resto, per chiedere tutele per malattia, ferie, orari di lavoro e infortuni (che possono capitare sfrecciando in bicicletta su strade trafficate). Ma chi può garantire tutto questo?

 

La reazione spontanea dei sindacati confederali italiani è di stigmatizzare una recente forma di impiego come un altro sintomo della deriva della “precarizzazione” del lavoro. Un lavoro che realtà si adatta ai tempi e alla domanda, in questo caso dei consumatori. Additare le app e le nuove tecnologie come strumenti del diavolo – con cui in verità si garantisce una prestazione o un servizio attraverso quello che una persona sa o può fare – è fuorviante. Anche perché non c’è proprio niente di nuovo nello svolgere più impieghi per sbarcare il lunario. Si è già sperimentato nel Settecento. Ovvero prima dell’industrializzazione e dell’impiego a tempo indeterminato, un tempo cui probabilmente alcuni sindacalisti sono tuttora legati.

 

I diari di tre uomini inglesi del XVIII secolo – scoperti dal magazine online The Conversation – danno un affascinante affresco su come le persone di classe media, ovvero i beneficiari della “gig economy” odierna abbiano lavorato a più impieghi. Ad esempio Edmund Harrold, residente a Manchester agli inizi del XVIII secolo, è stato un barbiere con formazione e titolo. Ha affittato un piccolo negozio, ha tagliato i capelli dei clienti, e anche acquistato e venduto i capelli e le parrucche artigianali. Nelle ore inutilizzate ha lavorato come rivenditore di libri e, infine, come banditore, vendendo vari oggetti nelle case d’asta di Manchester e nelle città periferiche. Ha prestato denaro (quando lo aveva) guadagnando il 10 per cento di interesse per i suoi affari. Un altro entusiasta dell’economia del concerto è stato Thomas Parsons: lavorava come carpentiere nella città di Bath nel 1769 ed era anche uno scienziato dilettante. Nel West Country John Cannon lavorava come bracciante agricolo e come insegnante.

 

Come le persone che guadagnano soldi attraverso Deliveroo o Uber oggi, i nostri gentlemen vivevano in condizioni precarie. Avevano certo l’indipendenza, ma spesso avevano fretta di guadagnare abbastanza per pagare le bollette o temevano di fallire. E’ vero che non avevano tutela alcuna.

 

Questa è per i sindacati una sfida ancora aperta che può essere raccolta solo adattando i metodi e gli strumenti ai tempi. In Italia nel settore dei trasporti in particolare alcune piccole sigle sindacali, lo si vede alla disastrata Atac di Roma, tengono in ostaggio gli utenti con scioperi improvvisi interrompendo un servizio con rivendicazioni del tutto corporative – non si è ancora visto uno sciopero Atac per chiedere maggiori investimenti o nuovi mezzi.

 

Quest’approccio deve necessariamente cambiare in generale e a maggiore ragione in riferimento ai nuovi tipi di impiego perché sono i consumatori che possono fare la differenza per chi lavora grazie alle app.

 

E’ chiaro che quando si tratta di lavoratori non dipendenti, gli scioperi non sono adatti. E poi i sindacati non possono portare i lavoratori a protestare rischiando che vengano licenziati dai datori di lavoro. Il focus dunque deve essere cambiato, spostato completamente, ovvero sui consumatori. Se per esempio i fattorini di Deliveroo o altre app sono in agitazione perché chiedono migliori condizioni cosa possono fare? I sindacati che si volessero incaricare di questa istanza – rinunciando a un antimodernismo preconcetto – dovrebbero invitare i consumatori, magari attraverso i social media, a non usare più una certa applicazione per un dato periodo. Il risultato è lo stesso dello sciopero in quanto colpisce la capacità del datore di lavoro di fare profitti. E solo quando i lavoratori avranno conseguito il loro scopo, i sindacati potranno convincere i consumatori a tornare a usare di nuovo un servizio. Questo probabilmente sarà lo sciopero nel 2038 o giù di lì.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.