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L'euforia da auto elettrica e la profezia eccessiva da "fine del petrolio"

Renzo Rosati

Anche se il trend è in forte crescita, le percentuali restano minime

Roma. Il 2040 per il governo francese. Il 2025 per quello norvegese, così come per il parlamento olandese. Sono i termini, non ancora tradotti in legge, che alcuni paesi europei indicano come stop alla vendita di auto a benzina e diesel. E mentre anche Roma presenta il gran premio di FormulaE del 2018 per bolidi elettrici, come quelli di Audi, fioccano le previsioni di un futuro della mobilità tutta elettrica e “sostenibile”, con l’addio al petrolio e ai suoi derivati. L’apripista è la californiana Tesla, che produce solo auto elettriche, seguita ora dalla svedese (di proprietà cinese) Volvo che intende farlo dal 2019. Scadenze sempre più ravvicinate: ma anche credibili? Per il 2017 l’Oica, l’associazione mondiale dei costruttori auto, prevede una vendita di 96 milioni di veicoli, in aumento del 3 per cento. Ma i veicoli elettrici venduti sempre nel 2016 sono stati 800 mila su 93,9 milioni.  

E anche se il trend è in forte crescita (più 40 per cento), le percentuali restano minime: lo 0,85. Lo Energy&Strategy Group del Politecnico di Milano ha pubblicato a febbraio uno studio di esperti mondiali che raffredda molti entusiasmi: il maggior mercato è la Cina con 225 mila auto elettriche nei primi tre trimestri, che però si confrontano con 28 milioni di vendite, dando un’incidenza inferiore alla media. Ancora meno in Stati Uniti, Canada e Messico, 109 mila veicoli elettrici su 21,5 milioni, lo 0,5 per cento. A migliorare leggermente le cose è l’Europa, con 151 mila auto elettriche vendute su 17,6 milioni di veicoli, lo 0,86 per cento.

  

Ma, come osserva Vittorio Chiesa, docente di Ingegneria gestionale e capo della ricerca, “quasi tutto dipende da finanziamenti e incentivi pubblici, che superano i due terzi delle risorse complessive”. In Norvegia lo stato dà 20 mila euro a chi compra un veicolo totalmente elettrico e 13 mila per gli ibridi. Il risultato sono 35 mila auto elettriche vendute. Al secondo posto per incentivi sono Olanda e Svezia, sempre mercati minori; la Francia dà 7 mila euro per le auto tutte elettriche e 1.800 per le ibride, l’Italia 3 mila e 2 mila, la Germania 6 mila e 5 mila. Ma Angela Merkel che aveva annunciato l’obiettivo di un milione di auto elettriche sulle strade tedesche nel 2020 e sei nel 2030 (oggi sono 100 mila) ha frenato: “Suggerisco più realismo, né abbiamo i mezzi per proseguire con questi incentivi”.

  

Egualmente il sorpasso nella capitalizzazione di Borsa di Tesla (41 mila auto vendute nel 2016) sulla General Motors (10 milioni di vendite) che fece molto rumore ad aprile scorso, è stato seguito da un controsorpasso, mentre un’inchiesta di Automotive News ha definito lo stabilimento di Fremont “uno dei più improduttivi del mondo”. Tra i miti da sfatare c’è però soprattutto quello della totale sostenibilità ambientale delle auto elettriche. L’elettricità per le ricariche è considerato un business del futuro (e anche l’Enel si appresta a fare la sua parte), ma l’energia necessaria non è precisamente rinnovabile come sognano gli ambientalisti: per l’Italia lo è al 35 per cento, il resto viene da combustibili fossili e una quota del 14 per cento è importata, nucleare compreso.

   

Ed è un mix più verde rispetto a Germania, Francia e Regno unito. Né sarebbe la prima volta che si sbagliano le previsioni sul futuro energetico del mondo: nel 1972 il Club di Roma commissionò al Mit di Boston uno studio che prevedeva l’esaurirsi entro il 2000 delle riserve di greggio. Mentre quest’anno (il Foglio del 26 giugno) 21 scienziati americani di diverse università, comprese Berkeley e Colombia, hanno demolito uno studio del climatologo di Stanford Mark Jacobson che profetizza il passaggio degli Stati Uniti all’energia totalmente rinnovabile entro il 2055. Jacobson è amico di Leonardo Di Caprio e Bernie Sanders. Ma, come per la Tesla, non basta a trasformare le speranze, o gli slogan, in realtà; almeno nei prossimi anni.

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