Foto Pixabay

Maestà, i giovani hanno fame. E allora che prendano una pensione!

Luciano Capone

Aumenta la povertà giovanile, ma il governo pensa agli anziani

Roma. In questi giorni si è parlato molto della condizione dei giovani, a causa della diffusione dei dati molto negativi sulla povertà e sull’occupazione. L’indagine sull’occupazione e sugli sviluppi sociali in Europa della Commissione europea ci ha ricordato che la percentuale italiana dei Neet (i 2,3 milioni di ragazzi che non studiano né cercano lavoro), è circa dieci punti superiore alla media europea (19,9 per cento contro 11,5) e che il tasso di disoccupazione dei giovani fra i 15 e i 24 anni in Italia è al 37,8 per cento (in calo rispetto al 40,3 per cento del 2015, ma comunque nelle ultime posizioni in Europa). E pochi giorni prima l’Istat nel suo bollettino sulla povertà ha confermato, anche per questo anno, una tendenza in corso da almeno un paio di decenni: gli anziani sono sempre più ricchi e i giovani sempre più poveri. Infatti l’incidenza della povertà diminuisce solo per gli over 65 anni (dal 4,1 a 3,8 per cento degli individui), ma per tutti gli altri continua a crescere, anche se di poco tra i 18 e i 64 anni (più 0,1 punti percentuali) e invece di tanto (più 1,6) tra i minorenni.

  

Questi dati devono essere inquadrati in quelli di lungo periodo della Banca d’Italia che nella sua indagine sui bilanci delle famiglie mostra in maniera chiara l’andamento divergente tra le generazioni di redditi e patrimoni: in 20 anni il reddito medio degli over 65 è aumentato di 19 punti mentre quello degli under 35 è sceso di 15; la stessa dinamica del reddito, ma ulteriormente accentuata, si vede per la ricchezza che è aumentata del 60 per cento per gli over 64 e diminuita del 60 per cento per gli under 34.

  

È l’effetto inevitabile di un modello, quello italiano, costruito principalmente per proteggere gli anziani, a scapito di tutti gli altri. Un dato su tutti: secondo l’Istat “l’84 per cento degli individui che usufruiscono delle principali prestazioni assistenziali previste dal sistema di welfare italiano è costituito da persone anziane”. E questo perché la spesa sociale italiana è essenzialmente costituita dalla spesa pensionistica.

Di tutto (o quasi) questo si è parlato in questi giorni anche in tono allarmato, solo che, in maniera davvero paradossale, contemporaneamente la politica sta discutendo proposte che come al solito hanno l’obiettivo di aumentare la spesa pensionistica, quella che già adesso è tra le più alte del mondo. Il governo, sotto la pressione preelettorale dei sindacati, starebbe studiando il blocco degli adeguamenti automatici dei requisiti pensionistici all’aspettativa di vita. L’unica voce che si è alzata contro l’ennesima manovra di spesa a favore degli anziani e a carico dei più giovani è stato il presidente dell’Inps Tito Boeri: “Costerebbe 141 miliardi in più da qui al 2035 – ha detto al Sole 24 ore – quasi interamente destinati a tradursi in aumento del debito pensionistico implicito”, in un contesto in cui nei prossimi anni milioni di babyboomer andranno in pensione: “Da qui al 2040 la spesa per pensioni sale di un punto, al 16,3 per cento del pil, se si sommano la spesa sanitaria e quella per le cure di lungo termine si passa dal 23 per cento di oggi al 25,5. E mentre abbiamo 2,5 milioni di giovnai in povertà”.

  

Ci sarebbe anche una proposta del Pd volta a tutelare i giovani, una “pensione minima” di 650 euro per chi con il sistema contributivo avrà carriere discontinue. Ma la proposta del Pd ha due limiti, uno di metodo e l’altro di merito. Nel metodo è stata presentata in un convegno in cui tra i relatori non c’erano giovani ma i capi di Cgil, Cisl e Uil (sindacati che rappresentano gli interessi dei propri iscritti, ovvero i pensionati). Nel merito, seppure l’obiettivo è quello dell’equità intergenerazionale, produce un costo che verrà scaricato sulla fiscalità generale. E’ vero, come ha detto il responsabile economico del Pd Tommaso Nannicini, che le riforme degli anni ’90 hanno contenuto il debito implicito e reso sostenibile il sistema sacrificando le pensioni future dei giovani. Ma scaricare i costi sui contribuenti futuri, ovvero i giovani di domani, anziché sui privilegiati di oggi, non è la strada migliore per l’equità intergenerazionale.

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali