Flat tax di populismo o di governo? Forza Italia e Lega davanti al bivio

Luciano Capone

Attualmente è l’unica proposta di politica fiscale ed economica che unisce le due anime del centrodestra. Dall’Istituto Bruno Leoni un aiuto per passare dalla fase infantile a quella matura

Roma. Attualmente la flat tax, ovvero l’aliquota unica, è l’unica proposta di politica fiscale ed economica che unisce le due anime del centrodestra, quella sovranista e antieuropeista della Lega e quella liberale e popolare di Forza Italia, e che meglio ne rappresenta i limiti. Ciò che accomuna le proposte delle due forze politiche è la volontà di ridurre la pressione fiscale e semplificare il sistema tributario, ma anche di non tenere in alcuna considerazione l’impatto sui conti pubblici. Sia la flat tax al 15 per cento di Matteo Salvini che quella al 23 per cento di Silvio Berlusconi non hanno coperture dettagliate. L’idea che viene spacciata agli elettori è che la riforma “si ripaga da sola” perché riducendo le tasse si “rimette in moto l’economia”. Si tratta di una storia troppo bella per essere vera e come ogni storia di questo tipo contiene una fregatura. Una lezione recente arriva dagli Stati Uniti e più precisamente dal Kansas, dove il governatore repubblicano Sam Brownback ha approvato incisivi tagli delle aliquote confidando in un automatico aumento del gettito, che però non è arrivato: le riduzioni di tasse in deficit producono deficit, ovvero buchi di bilancio, che prima o poi vanno coperti con tagli della spesa o aumento della pressione fiscale.

 

L’analogo “effetto moltiplicatore” viene venduto sul fronte della spesa pubblica dal Movimento 5 stelle e dalla sinistra radicale a copertura del Reddito di cittadinanza o di altri programmi assistenziali. L’idea che possano esistere “pasti gratis”, ovvero tagli di tasse senza riduzione della spesa oppure aumenti di spesa senza inasprimenti fiscali, è il concetto che accomuna tutti i populismi economici. Questo approccio funziona quando si devono raccogliere i voti, ma è naturalmente inapplicabile – a meno di combinare gravi disastri – quando bisogna governare. D’altronde l’enorme debito pubblico italiano, che opprime la nostra economia, dovrebbe ricordarci ogni giorno i ripetuti deficit di bilancio non si ripagano da soli.

 

Un aiuto per far passare il centrodestra dalla fase infantile a quella matura arriva dall’Istituto Bruno Leoni (Ibl), che ha lanciato una dettagliata proposta di flat tax al 25 per cento, che ha due meriti: si tratta di una riforma fiscale complessiva e ha come vincolo imprescindibile la neutralità rispetto al bilancio pubblico.

La riforma dell’Ibl, elaborata da Nicola Rossi, economista dell’Universita di Roma Tor Vergata, prevede: un’aliquota unica al 25 per cento per le principali imposte (Irpef, Ires, Iva), abolizione di Irap e Imu, incremento delle imposte indirette (l’Iva, appunto), una profonda revisione della spesa pubblica (che non è solo un efficientamento della macchina pubblica, ma anche una riduzione del perimetro d’intervento pubblico). L’impatto sarebbe di una riduzione della pressione fiscale e della spesa pubblica di circa 4 punti percentuali ma, come ha spiegato Rossi sul Sole 24 Ore, “sotto il vincolo imprescindibile di effetti nulli sul bilancio”. Prima si taglia la spesa e poi si tagliano le tasse, che è ciò che per adesso rende incompatibile la proposta con i moltiplicatori magici di Salvini e Berlusconi. Il think tank liberale quantifica minori entrate per 95,4 miliardi e minori spese per 64,2 miliardi, con un saldo complessivo negativo di 31,2 miliardi che verrebbe coperto con una spending review incisiva e descritta in maniera dettagliata.

 

La riforma di Rossi prevede anche l’introduzione di un “minimo vitale”, un trasferimento monetario diretto ai più poveri in sostituzione dell’attuale inefficiente sistema di prestazioni assistenziali. Si tratta di una riforma fiscale e del welfare che quindi include temi vicini al centrodestra, come la riduzione della pressione fiscale, ma anche cari al centrosinistra, come la lotta alla povertà. Uno dei primi economisti a proporre l’accoppiata flat tax e reddito minimo vitale è stato negli anni 70 il premio Nobel per l’economia Milton Friedman, uno dei maggiori intellettuali della destra liberale, ma ha avuto tra i suoi sostenitori anche esponenti del mondo progressista come il recentemente scomparso sir Tony Atkinson, economista studioso delle diseguaglianze, autore di una proposta analoga nel 1996 (“Public Economics in Action: The Basic Income/Flat Tax Proposal”). È difficile che il Pd o qualsiasi altro partito di centrosinistra possa rinunciare a un simbolo come l’imposta progressiva sul reddito. Può diventare una bandiera del nuovo centrodestra, che però deve decidere se farla sventolare nel campo del populismo o in quello del riformismo.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali