Perché l'Italia cresce meno degli altri? Il vero problema è il debito

Marco Fortis

Secondo le previsioni economiche della Commissione europea nel 2017 il nostro paese sarà ancora ultimo per il pil. E la superficialità di certe analisi scoraggia

Leggere i commenti sul perché l’Italia, secondo le previsioni economiche primaverili della Commissione europea, nel 2017 sarà ancora ultima per il pil scoraggia profondamente. Più che per la bassa crescita attesa (e per il consueto masochistico autocompiacimento nel definirci “fanalino”), scoraggia soprattutto per la superficialità delle analisi.

 

È vero. Nel 2017 nessuna economia dell’Unione europea avrà un aumento del prodotto più basso di noi. Ma perché? Se per semplicità e omogeneità di confronto ci concentriamo sui tre paesi più grandi dell’Eurozona, osserviamo che nel 2017 il pil della Germania dovrebbe crescere dell’1,6 per cento, quello della Francia dell’1,4 per cento e quello dell’Italia dello 0,9 per cento. Sgombriamo però subito il campo dall’idea che il divario di crescita tra noi e gli altri possa dipendere da una loro superiorità nel commercio internazionale. Infatti, come già avvenuto nel 2016, anche nel 2017 la domanda estera netta ha dato e continuerà a dare un contributo negativo a tutti i tre principali paesi dell’Unione economica e monetaria (meno 0,3 punti percentuali cumulati nel biennio per Germania e Italia e addirittura meno 0,9 punti per la Francia).

 

Il nostro gap del 2017 dipenderà unicamente dalla domanda interna netta. Infatti essa darà un contributo dell’1,7 per cento al pil tedesco, dell’1,5 per cento al pil francese e solo dell’1,1 per cento al pil italiano. E qui sta il punto. Occorre disaggregare i dati. Infatti, se fosse vero che siamo poco competitivi, che le imprese non investono, che i cittadini non hanno ripreso a consumare o che il governo Renzi ha distribuito solo “mance” senza sostenere la crescita, come sostengono alcuni, la domanda interna privata italiana, al netto degli investimenti in costruzioni, dovrebbe essere caratterizzata da un profilo molto debole rispetto alle domande tedesca e francese.

 

Invece nel 2017 l’insieme dei consumi delle famiglie e degli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto delle imprese aumenterà in Italia dell’1,3 per cento in termini reali, esattamente come in Germania e Francia. Quindi non è certo perché gli 80 euro o gli incentivi dati alle imprese per assumere e investire sarebbero stati un flop che il nostro pil oggi è poco dinamico.

 

Ancor più significativo è constatare che nell’intero 2015-2017 la domanda privata italiana al netto delle costruzioni è cresciuta cumulativamente del 5,1 per cento, cioè appena un decimale in meno che in Francia (più 5,2 per cento) e quattro in meno rispetto alla potente Germania (più 5,5 per cento): praticamente un divario impercettibile se spalmato su tre anni. Inoltre, nel 2017, grazie al piano Industria 4.0, l’Italia sarà il sesto paese Ue per crescita degli investimenti tecnici (più 6,4 per cento), ben davanti a tedeschi (più 1,4 per cento) e francesi (più 3,4 per cento): altro che “fanalino”! Le cause della nostra debole domanda interna non sono dunque da ricercare né nel settore privato né nella presunta inefficacia delle politiche economiche. La spiegazione è più banale di quanto si possa immaginare. Domanda domestica e pil crescono poco in Italia perché siamo super-indebitati e non abbiamo margini per aumentare la spesa pubblica. In Germania i consumi finali delle Pa sono cresciuti nel quadriennio 2014-2017 di ben 59 miliardi di euro a prezzi 2010, in Francia di 27 miliardi, mentre in Italia sono diminuiti di 2 miliardi.

 

L’“operazione verità” di cui ha bisogno il nostro paese contro i luoghi comuni e il populismo è dunque sul debito, sul come ridurlo dopo averlo stabilizzato, sul come liberare risorse con le riforme e rendere lo stato più efficiente (soprattutto al Sud). E non sul come affondare definitivamente i conti pubblici, magari con progetti tipo il reddito di cittadinanza.