Donald Trump (foto LaPresse)

Fortis

Trump vs il nord Italia

Marco Fortis

I numeri dicono che il protezionismo di The Donald indebolirà le regioni governate dai trumpiani d’Italia

E’ difficile capire dove porterà la strategia del presidente americano Trump sui dazi, cioè se “Donald abbaia per non mordere”, come ha scritto Giorgio La Malfa sul Mattino oppure se egli è veramente deciso ad andare fino in fondo su questa strada, mettendo nel mirino in particolar modo l’Europa. Ci sono inoltre alcune apparenti incongruenze nella scelta di Trump: prima fra tutte che il grande disavanzo commerciale americano (763 miliardi di dollari nel 2016) è determinato per oltre il 70 per cento dal Messico e da 5 paesi asiatici (Cina, Giappone, Corea, India e Taiwan) e non dall’Ue (che pesa nel disavanzo americano meno del 20 per cento). La controparte con la quale gli Stati Uniti presentano il deficit maggiore è la Cina (347 miliardi di dollari), nazione in cui le multinazionali americane hanno pesantemente delocalizzato per realizzare più utili e pagare meno tasse in patria. Mentre i cittadini statunitensi comprano per loro libera scelta – e non perché esportati negli States in dumping – beni come auto tedesche di lusso, moda, formaggi e vini italiani e francesi. 

  

 

Comunque sia, il segretario Wilbur Ross ha affermato in modo perentorio: “Gli Stati Uniti non si inchineranno più al resto del mondo. Siamo in guerra commerciale”. Una preoccupante accelerazione in senso protezionista che non può non preoccupare l’Italia, secondo paese esportatore dell’Eurozona verso gli Stati Uniti con 36,9 miliardi di euro nel 2016 e un surplus di 23 miliardi. E che si sta anche rivelando un boomerang per la Lega Nord, la quale da tempo ha innalzato il neo presidente americano a “modello” di riferimento per la sua strenua difesa dell’americanità.

 

Commentando questi sviluppi Matteo Renzi ha scritto su Facebook: “Per mesi i Salvini e i BeppeGrillo ci hanno fatto la lezione, nei talk e sui giornali: copiate da Trump, il futuro è il protezionismo, la società aperta fa solo danno. E’ bastata una indiscrezione sui giornali americani per zittire tutti i protezionisti italiani e per far capire che i teorici della chiusura fanno male all’Italia, tanto male”. Matteo Salvini però non sembra preoccuparsi troppo e di fronte ai possibili dazi sulle motociclette Piaggio e sull’acqua minerale San Pellegrino, ha commentato: “Non è certo qualche Vespa o qualche bottiglia d’acqua che fa la differenza”.

 

Tuttavia i timori che i dazi americani possano danneggiare pesantemente l’export dell’Italia e soprattutto l’export della Padania si fanno sempre più forti in Lombardia e Veneto. In un suo articolo, il Gazzettino ha scritto: “Capire cosa potrebbe succedere alle aziende venete se gli Stati Uniti introducessero i dazi non è semplice. Ma una cosa è certa, sicuramente non gli farebbero del bene. Nella graduatoria delle esportazioni venete gli Usa si piazzano in terza posizione”. E il giornale ha provato anche a fare una prima stima potenziale delle conseguenze per le aziende venete se i dazi americani dovessero diventare realtà. “I settori che ne risentirebbero maggiormente sarebbero quelli dei macchinari che nel 2016 hanno esportato merce per 899 milioni di euro, l’occhialeria (880 milioni di euro), le bevande (384 milioni) e a seguire mobili, gioielli, prodotti della metallurgia e apparecchiature elettriche”.

 

Più in generale, è evidente che se gli Stati Uniti innescassero un domino di politiche protezioniste e ritorsioni commerciali a livello mondiale, l’Italia, che è una economia molto aperta, avrebbe soltanto da perdere. E le regioni più “perdenti”, ironia della sorte, sarebbero proprio quelle della constituency leghista del lombardo-veneto. Per la Lega Nord, dunque, il modello sovranista-dazista del presidente Trump rischia di diventare sempre più un motivo di grave imbarazzo.

 

I numeri, in effetti, dovrebbero far riflettere. Nel 2016 la Lombardia è stata in assoluto la prima regione esportatrice italiana con 112,2 miliardi di euro e il Veneto la seconda con 58,2 miliardi di euro. Per tutte e due le regioni si è trattato del record storico assoluto di esportazioni. Ed entrambe in questi ultimi anni hanno riportato di slancio le loro vendite sui mercati mondiali sopra i rispettivi livelli pre-crisi: +7,9 per cento la Lombardia rispetto al 2008 e +15 per cento il Veneto rispetto al 2007. Dunque una involuzione del commercio internazionale provocata da un infausto ritorno dei protezionismi sarebbe assai dannosa per regioni come la Lombardia e il Veneto che in tanta misura fondano il loro benessere e sviluppo sugli scambi con l’estero.

 

Per quanto poi riguarda i rapporti commerciali bilaterali con gli Stati Uniti, scambi che sarebbero evidentemente i primi ad essere colpiti se Trump procedesse con decisione sulla strada annunciata di imporre dei dazi alle merci europee, i rischi per Lombardia e Veneto sono davvero notevoli. Infatti, nel 2016 la Lombardia ha esportato negli Stati Uniti merci per 8,1 miliardi di euro e il Veneto per 4,8 miliardi. Giusto per capire meglio, attraverso una semplice comparazione di immediata comprensibilità, perché le scelte di Trump potrebbero non rivelarsi del tutto in linea con gli interessi del popolo padano, si consideri che l’export complessivo di Lombardia e Veneto verso gli americani, pari a 12,9 miliardi di euro lo scorso anno, è più alto di quello dell’intera Spagna (11,3 miliardi). Dunque se c’è un’area geografica in Europa a cui l’“America First” di Donald Trump non conviene affatto è proprio la Padania.

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