Viva gli ecomostri

Manuel Orazi

Una pagina Facebook fa la guerra al populismo applicato all’architettura, ovvero la polemica sterile e sbracata sul cemento (che è economia, come dice Arbasino)

Sembrava una sparata divertente e liberatoria quella lanciata dalla pagina facebook “Ma quanto cazzo sono belli gli ecomostri?”, una smargiassata dissacrante contro i tanti reazionari in architettura, così numerosi che potrebbero arricchire la celebre definizione del carattere italiano di Leo Longanesi, “L’italiano: totalitario in cucina, democratico in Parlamento, cattolico a letto, comunista in fabbrica”. E invece sotto una arrembante immagine di copertina del Corviale fotografato in prospettiva ascendente come un monumento costruttivista russo, si snodano una serie di luoghi comuni e ironie da quattro soldi, puerili se non smaccatamente populiste, in ogni caso molto meno divertenti di altre pagine ironiche in fatto di urbanistica come Padania Classics (una rassegna di rotonde decorate e nani da giardino nelle villettopoli delle periferie del Settentrione).

 


Il Palazzo di Giustizia di Savona di Leonardo Ricci, 1987


 

Certo il Corviale non si può dire propriamente una perla di bellezza, ma è nato in un’altra epoca storica, gli anni Settanta, quando ancora si faceva edilizia pubblica e si voleva dare un tetto a migliaia di immigrati italiani che ancora vivevano nelle baracche a Roma, in condizioni igieniche e di promiscuità da Terzo mondo – vedi il tremendo Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola del 1976. Seguono poi il Palazzo di giustizia di Savona che Vittorio Sgarbi usa sempre come un martello retorico per dire che tutta l’architettura moderna è orrenda e poi vari esempi di bislacche architetture sovietiche o cinesi, di fabbriche vicino all’Aquila che deturpano il verde delle colline circostanti e infine la Nuvola di Fuksas e persino il colosseo quadrato, il palazzo della civiltà italiana dell’Eur.

 


 

L'Hotel Fuenti sulla costiera amalfitana, l'edificio abusivo più famoso d'Italia, demolito nel 1999


Una arrembante immagine di copertina del Corviale fotografato in prospettiva ascendente come un monumento costruttivista russo

 

E qui casca l’asino. Scrivono infatti gli amministratori: “il Palazzo della Civiltà Italiana, A.K.A. il Colosseo Quadrato è un ecomostro? E l’EUR è il quartiere più programmaticamente ecomostruoso della Penisola? Diteci la vostra”. E giù parolacce, insulti, l’Eur è una merda, è da abbattere, è fonte di costi e sprechi per la collettività, ma come si fa. Lasciando da parte che era il quartiere preferito di Federico Fellini, che ci ha girato più di un suo film per l’aria da realismo magico, gli argomenti usati dai commentatori ricalcano senza saperlo quelli di Longanesi e Mino Maccari usati su Il Selvaggio, rivista degli anni Venti zeppa di virulente polemiche antimoderne e strapaesane sia contro Marcello Piacentini, l’architetto conservatore e più rappresentativo del fascismo ufficiale, sia contro gli architetti razionalisti più intransigenti oggi studiati in tutto il mondo, da Giuseppe Terragni ad Adalberto Libera – autore del magnifico Palazzo delle Esposizioni dirimpettaio del colosseo quadrato.

 

Scrivevano Longanesi e Maccari in proposito che Piacentini era un distruttore e che tutta l’architettura moderna era “roba schifosa, ripugnante, bolscevica americana e tedesca”, pubblicando anche un articolo dal titolo Il cemento disarmato che è l’inizio della demonizzazione di questo materiale moderno per eccellenza, finendo con una tirata antiamericana ma soprattutto contro la supposta economicità dell’architettura moderna. Rispose loro Edoardo Persico, il grande critico d’arte e architettura condirettore della rivista Casabella, forse l’unico architetto antifascista durante il ventennio: “Quando si pubblicano queste cose non si ha più diritto alla parola: non si è più uno scrittore, perché si rinnega la dignità del linguaggio; non si è nemmeno un uomo di parte, perché voler resistere al progresso della storia facendo balenare lo spettro del danno economico è stato sempre l’espediente dei più pericolosi demagoghi”. E qui Persico parla all’oggi, alla giunta Raggi, a Salvatore Settis e alla sua appendice Tomaso Montanari, alle contesse del FAI, a certo ambientalismo oltranzista, insomma al populismo che trova nella polemica sbracata contro l’architettura e i lavori pubblici di ogni tipo nuovo slancio e nuova linfa. Non a caso Persico è celebre per il suo pamphlet Profezia dell’architettura ora disponibile nell’opera omnia appena pubblicata meritoriamente da Aragno, Notizie dalla modernità. Tutte le opere (2 volumi a cura di Giuseppe Lupo, 60 €euro). Certo, gli ecomostri esistono, nessuno lo nega. Ma la purezza ambientalista è l’alleata segreta dei costruttori che fin dai tempi di Le mani sulla città sono figure che incarnano tutti i sentimenti della parte avversa e gli estremi concorrono allo stesso disastro. Quando si costruisce lo si fa ipercementando (i costruttori) e quando non si costruisce in nome del verde (gli ambientalisti) si bestemmia il cemento che è materia prima per ogni miglioria urbana.

 

Damiani: "Il cemento è l'unica risposta agli uffici postali zeppi di dipendenti in pile e troppo impegnati per sveltire una pratica"

Quando Giorgio Gaber rispose ad Adriano Celentano, novello Maccari, con La Risposta al Ragazzo della Via Gluck (1966) lo fece in nome di quella gente povera che proprio grazie al cemento vedeva in città il sogno di uscire da un destino di miseria rurale, anche se poi il protagonista della canzone perde tutto: “E quel palazzo un po’ malandato va demolito per farci un prato il nostro amico la casa perde per una legge del piano verde”. Si oppone solitario su “Ma quanto cazzo sono belli gli ecomostri?” solo Giovanni Damiani, architetto triestino che ha provato a controbattere agli argomenti così: “Il nome della pagina mi pare ingiusto per delle costruzioni che spesso sono coraggiose; danno fastidio perché parlano di progresso, di sviluppo e voglia di crescita, ovvero tutto gli elementi che il nullafacentismo italico detesta da sempre. Il cemento è la vera unica risposta agli uffici postali zeppi di dipendenti in pile (il tessuto sintetico) che si dicono troppo impegnati per sveltire una banale pratica, parla della speranza, una speranza che viene schifata da una società ferma, abituata alla sconfitta, che anela solo al tracollo anche degli altri solo per stare in compagnia”. Allusione al No al referendum, e al tanto peggio, tanto meglio insomma, ma questa storia non può finire così e allora Damiani ci regala una sarcastica poesia-rap alla Arbasino: “Il cemento è economia. Andiamoci piano che se no si diventa Saviano”.

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