Pier Carlo Padoan (foto LaPresse)

La durissima manovra che verrà

Redazione

O Padoan avrà un coraggio da leoni o meglio elezioni a giugno

Si parla molto della correzione della manovra economica di quest’anno richiesta dalla Commissione europea (lo 0,2 per cento del pil) ma della prossima, quella per il 2018, quella nella quale non si potranno più rimandare scelte difficili e costose in termini di consenso, si parla poco. Ferruccio de Bortoli sul Corriere (18 febbraio) aveva sollevato il “problema rimosso” (mentre i media erano rapiti dall’ovvio: la scissione del Partito democratico). E ora l’ex premier Matteo Renzi, segretario dimissionario, va in California, patria di startup, per rincasare con un bottino di idee simil sviluppiste (mentre in Italia Uber e Flixbus sono assediate). Eppure la prossima manovra sarà dura: non ci sono margini di flessibilità (19 miliardi sono già stati ottenuti in due anni), non si potranno disinnescare con più deficit le clausole di salvaguardia, quasi 20 miliardi, cifra vicina alla manovra 2017 (27 miliardi).

 

Il governo Gentiloni-Padoan invoca privatizzazioni, promette correttivi, ma ha già ipotecato 20 miliardi di nuovo debito per soccorrere alcune banche. Dovrebbe avere il coraggio di dare un segnale chiaro per il rientro del debito che non sia affidato solo alle speranze di crescita ma a operazioni straordinarie, revisione della spesa, cessione di partecipate, eliminazione delle detrazioni per alti redditi. Riuscirà a fare tutto questo dovendo cercare anche i voti dalla sinistra uscita dal Pd, che con il partito di Gentiloni e Renzi ha rotto proprio per ragioni legate alla piattaforma economica? Servirà molta forza di volontà. Se no, meglio indire elezioni a giugno, sperando che il mandato popolare non investa incapaci a 5 stelle ma un esecutivo a vocazione europea.