Un'immagine di Wall Street (Foto LaPresse)

I “trumpini” della Silicon Valley

Redazione

Con l’Ipo di Snapchat muore la democrazia in Borsa. Involuzione

Circa cento imprenditori della Silicon Valley hanno deciso di spalleggiare la battaglia giudiziaria contro l’ordine esecutivo del presidente Donald Trump che limita l’ingresso negli Stati Uniti degli immigrati da sette paesi a maggioranza musulmana perché contro i princìpi democratici e della correttezza. E proprio mentre cresce la rabbia per la negazione dei diritti civili, la new economy compie un passo decisivo per la cancellazione dei diritti degli azionisti e della democrazia in Borsa. Snap, casa madre di Snapchat, ultimo successo dei social network che s’avvia a rimpiazzare i tweet, ha fatto sapere che le azioni che saranno collocate via Ipo (prevista a marzo) non godranno del diritto di voto. Anzi non avranno diritto alcuno, salvo il dividendo (pratica ben poco diffusa nella Silicon Valley, dove gli utili vengono di norma reinvestiti in azienda).

 

Non solo. La governance di Snapchat prevede che i fondatori dell’azienda, cioè il ceo Evan Spiegel, 26 anni, e il cto Bobby Murphy, 28, restino in sella al gruppo anche nel caso in cui decidessero di dimettersi. Il prospetto specifica che il potere di voto della quota dei fondatori sarebbe diluito solo nel caso in cui gli stessi vendessero le loro azioni, o “nove mesi dopo la loro morte”. Insomma, dopo i capitalisti senza capitali, così cari alla governance di Enrico Cuccia in Mediobanca, ecco i capitali senza azionisti in America. Non è difficile capire i motivi della protesta dei fondi pensione e degli altri investitori istituzionali, che minacciano ritorsioni contro questo golpe del diritto societario. E non è difficile capire l’obiettivo dell’azienda: usare l’Ipo per liberarsi dei private equity e dei banchieri (nel caso di Snap Goldman Sachs e Morgan Stanley) che li hanno finanziati in fase di decollo, sostituendoli con investitori più docili, malleabili e meno pretenziosi – e soprattutto silenziosi. Tutto ciò, naturalmente, dopo aver procurato ai big di Wall Street plusvalenze stellari grazie all’Ipo.

 

Questa storia rappresenta una pesante involuzione della governance azionaria che s’inscrive nel quadro di un profondo cambiamento del ruolo della Borsa, non solo quella americana: da tradizionale canale per il finanziamento delle imprese, il mercato azionario si è a poco a poco trasformato nell’esatto opposto, ovvero in un mezzo per restituire ai big i quattrini accumulati dalle imprese. Il compito di finanziare startup e matricole di livello è ormai appannaggio delle più private e grosse firme di Wall Street. La Borsa serve per restituire profitti a scapito del flottante. E i piccoli “trumpini” della Silicon Valley si dimostrano all’avanguardia anche in questa pratica.

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