La bolla di uno scandalo dà l'alibi a Bt per lasciare l'Italia

Alberto Brambilla

Alcuni osservatori ritengono che l’allarme sugli utili comunicato ieri agli azionisti sia il preludio dell’uscita della compagnia dal paese dopo oltre un decennio di attività

Roma. Il prezzo delle azioni di Bt Group è crollato del 18,7 per cento al London Stock Exchange con un’erosione del valore di mercato vicina ai 7 miliardi di euro, come non accadeva dal 1986, dopo che la prima compagnia telefonica britannica ha aggiornato i risultati di un’indagine interna per pratiche contabili scorrette nella divisione italiana, Bt Italia, e per aspettative fosche sul business inglese e internazionale. Alcuni osservatori ritengono che l’allarme sugli utili (profit warning), comunicato ieri agli azionisti di Bt, dovuto a perdite in Italia maggiori di quanto indicato prima sia il preludio dell’uscita della compagnia dal paese dopo oltre un decennio di attività. Bt Group è azionista di British Telecom Global Services, che controlla la divisione italiana – dalla quale deriva l’1 per cento dei margini del gruppo – ed è proprietaria della rete telefonica più capillare al mondo (150 paesi), il retaggio dell’epopea statale. Non succede tutti i giorni che una società che conta solo per l’1 per cento di un gruppo che è suo azionista sia causa di un collasso storico in Borsa. Ma, a quanto pare, è successo dopo che le indagini interne condotte a Londra hanno portato, in pratica, ad azzerare il valore dell’operatore italiano.

 

A settembre Bt Group aveva annunciato la sospensione per condotta inappropriata dei top manager di Bt Italia, l’ad Gianluca Cimini e il direttore operativo Stefania Truzzoli, entrambi scelti nel 2013 da Corrado Sciolla, contestualmente promosso a capo delle operazioni europee della società inglese, il quale ieri pomeriggio ha dato le dimissioni, secondo quanto annunciato da Gavin Patterson, ceo di Bt. Successivamente l’allontanamento dei due manager, Bt diceva che “alcuni errori di contabilità storici” rilevati con una indagine interna non avrebbero “materialmente impattato sui conti del gruppo nei precedenti due anni”– qualcosa che il revisore dei conti PricewaterhouseCoopers non aveva colto. Bt diceva appunto che avrebbe dovuto svalutare asset a bilancio per 145 milioni di sterline (168 in euro) nel secondo trimestre 2017.

 

L’aggiornamento odierno dice invece che l’ammontare totale di perdite va più che triplicato a 530 milioni di sterline (614,2 in euro) per via di improprio reporting della contabilità, delle vendite, degli acquisti e delle transazioni di cessione in locazione della fibra ottica identificate da Bt nella sua indagine interna sulla divisione italiana, condotta stavolta con il revisore Kpmg. Queste attività, dice Bt, hanno comportato una “sopravvalutazione dei guadagni del nostro business in Italia su un certo numero di anni”. Una sopravvalutazione notevole che supera i risultati concretamente ottenuti da Bt Italia dal 2004 – sarebbe una media di 53 milioni di sterline di guadagni annui che non corrisponde ai risultati complessivi ottenuti nel periodo, al netto delle partite straordinarie derivanti da contenziosi legali verso l’ex incumbent Telecom Italia – e segnala dunque l’azzeramento pressoché totale delle operazioni italiane, che ottengono profitti dalla fornitura di servizi allo stato e a grandi aziende sia pubbliche sia private.

 

Per conseguenza delle “pratiche improprie che ci deludono profondamente”, ha detto il ceo Patterson, l’azionista di Bt Italia ha poi deciso motu proprio di avvertire i suoi soci di una perdita del margine di guadagno prevista per il terzo trimestre di quest’anno da circa 120 milioni di sterline visto l’impatto maggiorato dell’indagine interna. L’operazione verità inglese sembra portare oltre alla necessaria revisione delle aspettative di redditività del gruppo alla luce delle nuove scoperte sulla condotta di Bt Italia (con risvolti reputazionali negativi per la società) e non lascia molte alternative se non l’uscita di Bt dal mercato italiano. “Probabilmente Bt ha bisogno di uscire interamente dall’Italia”, dice John Foley, analista di Reutersbreakingviews che non va lontano dal possibile. Nel momento in cui l’Italia è claudicante e le principali società di telecomunicazioni, mobile e fissa, sono in mano straniera niente è più facile. 

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.