Trump firma l'atto che sancisce l'uscita degli Stati Uniti dal Tpp (foto LaPresse)

Stop: il mondo non va a rotoli

Claudio Cerasa

Contro il catastrofismo populista serve un grande manifesto dell’ottimismo. E per quanto possa sembrare che il mondo sia destinato ad andare a rotoli la verità è che, scrive Kristof sull'edizione domenicale del New York Times, il 2016 è stato l’anno migliore della storia dell’umanità e il 2017 probabilmente andrà ancora meglio

Sull’edizione domenicale del New York Times, Nicholas Kristof, editorialista progressista, fiero e gagliardo anti conformista, ha posto un quesito cruciale al quale bisogna rispondere per capire qualcosa di più su un dramma culturale della nostra epoca, persino più grave dell’ascesa dei Donald Trump, delle Marine Le Pen, dei Matteo Salvini e dei Michele Emiliano. Domanda: in ogni singolo giorno della nostra vita, quante persone vivono in una condizione di povertà? Kristof ha offerto tre diverse risposte. Prima risposta: crescono di cinquemila unità al giorno a causa dei cambiamenti climatici, la corruzione dilagante, la scarsità di cibo nel mondo. Seconda risposta: il numero di poveri non cambia da un giorno all’altro. Terza risposta: in ogni singolo giorno della nostra vita, le persone che in giro per il mondo esce da una condizione assoluta di povertà sono 250 mila. La teoria del drammaticamente corretto, in base alla quale dire che il mondo non va a puttane è dire una cosa politicamente sconveniente, ci impone di pensare che la risposta giusta sia la numero uno, o al massimo la numero due. E invece, ci ricorda Kristof, in quella che può essere considerata una prima meravigliosa bozza di un possibile manifesto dell’ottimismo, la risposta giusta è la numero tre. E per quanto possa sembrare che, tra un Trump, una Le Pen, un Farage, un Di Maio, un Michele Emiliano, il mondo sia destinato ad andare a rotoli la verità è che, scrive Kristof, il 2016 è stato l’anno migliore della storia dell’umanità e il 2017 probabilmente andrà ancora meglio, nonostante nove americani su dieci credano che la povertà globale sia peggiorato o, al massimo, sia rimasta la stesso.

Quello di Kristof è un delizioso invito a osservare il mondo, e dunque la globalizzazione, nella sua meravigliosa complessità, evitando con cura di inseguire la retorica disfattista, populista e catastrofista dei mercanti delle paure, dei signori dell’apocalisse, dei principi del disfattismo che hanno interesse a descrivere un mondo destinato a finire nel precipizio solo per ragioni elettorali. E invece no: ogni giorno 250 mila persone, dice la Banca mondiale, escono da condizioni di estrema povertà; dal 1990 più di 100 milioni di bambini che un tempo sarebbero morti alla nascita sono stati salvati grazie al progresso scientifico; dacchè nei primi anni ottanta il 40 per cento degli esseri umani viveva in condizioni di estrema povertà, nel 2030 questo numero arriverà al 30 per cento; la percentuali di adulti analfabeti è passata dal cinquanta per cento del 1960 al 15 per cento di oggi; il numero di paesi governati da una democrazia è passato dal 39 per cento del 1960 al 53 per cento dei nostri giorni. E molto altro si potrebbe dire rispetto a un mondo che grazie anche alla globalizzazione ha permesso di migliorare le condizioni di vita di gran parte delle persone che vive sul nostro pianeta. Superare la sindrome del drammaticamente corretto non è un modo per cancellare dalla propria visuale i problemi che esistono nel mondo, ma è una chiave intelligente per disinnescare, attraverso il linguaggio della verità, il populismo che si alimenta grazie alle armi affilate contenute nell’arsenale retorico della post verità. Dire che il mondo va a catafascio, quando non è così, e valorizzare solo i dati che fotografano il declino e non quelli che segnalano la resistenza al declino di un paese, non è un modo di fare informazione a schiena dritta: è un modo come un altro per piegarsi alla retorica neoprotezionista (a proposito, ieri Trump ha annunciato l’uscita degli Usa dalla Trans-Pacific Partnership), un modo come un altro di descrivere il mondo con una lente distorta e pessimista solo per non infastidire il populista di turno. La vera rivoluzione oggi non è lisciare il pelo alla super casta dei declinisti, ma è fare il suo contrario: la potenza della verità è l’unica arma per disinnescare la retorica populista. Imparare a memoria Kristof può essere un buon inizio, per capire che il modo migliore per fare andare il mondo a rotoli è quello di descriverlo come lo sognano i populisti di tutto il mondo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.