Viva, viva, viva i 62 paperoni messi all'indice da Oxfam (col trucco)

Luciano Capone

“Sessantadue supermiliardari hanno accumulato la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone, la metà più povera della popolazione mondiale”: è questa la sintesi del comunicato stampa con cui la ong britannica, sempre più la Coldiretti globale dello sviluppo equo e sostenibile, anche a questo giro, ha conquistato l’attenzione dei media globali prima del summit di Davos.

Milano. Ormai Oxfam è la Coldiretti globale dello sviluppo equo e sostenibile. Ogni anno a ridosso del World economic forum riesce a occupare le prime pagine di tutti i giornali del mondo sparando dati un po’ così, come fanno la Coldiretti o il Codacons sotto Natale. “Sessantadue supermiliardari hanno accumulato la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone, la metà più povera della popolazione mondiale”: è questa la sintesi del comunicato stampa con cui la ong britannica, anche a questo giro, ha conquistato l’attenzione dei media globali prima del summit di Davos. Vanno fatti i complimenti a Oxfam, come vanno fatti alle nostra associazioni di consumatori, per le capacità con cui riescono a far passare come serie le proprie statistiche. Ma i media dovrebbero essere altrettanto bravi ad annusare le bufale e a capire cosa significano quei numeri. Oxfam non fa altro che rielaborare i dati del Global Wealth Databook di Credit Suisse che riguardano la ricchezza globale netta, ovvero gli attivi meno i debiti. Ciò vuol dire che i più poveri tra i poveri sono coloro che hanno molti debiti. Ma avere debiti non significa affatto essere poveri. Anzi, come sanno tutti coloro a cui nessuno concede mutui o prestiti, bisogna essere ricchi per avere molti debiti, in genere si fa credito solo a chi ha la prospettiva di fare soldi e ripagare il prestito. Usando il criterio della ricchezza netta, Oxfam inserisce in fondo alla classifica persone molto ricche e indebitate: così i più poveri del mondo non saranno gli abitanti delle favelas o di qualche baraccopoli africana, ma squali della finanza come Bernie Madoff o Jérôme Kerviel che hanno fatto truffe per miliardi di dollari. In questo modo risulta più ricco un bambino dell’Africa subsahariana che non ha debiti e non ha nulla da mangiare di ricchi imprenditori che hanno fatto investimenti indebitandosi o di studenti che hanno chiesto prestiti per frequentare le università più prestigiose del mondo.

 

I risultati sono paradossali. Secondo le statistiche di Oxfam, nel 10 per cento più povero della popolazione mondiale non ci sono cinesi (perché non hanno debiti), ci sono più nordamericani che sudamericani, tanti europei quanti asiatici e addirittura più europei e nordamericani che africani. Se si guardano nel dettaglio i dati di Credit Suisse utilizzati dalla ong, risulta che il 10 per cento più povero ha addirittura una ricchezza negativa, si scopre che basta avere mille dollari per essere nel 50 per cento più ricco e 10 mila dollari di patrimonio, ovvero un’auto usata, per essere nel top 20 per cento dei più ricchi del mondo!

 

Occuparsi dei patrimoni piuttosto che dei redditi è qualcosa di bizzarro per un’organizzazione il cui acronimo sta per "Oxford Commitee for Famine Relief”, il cui scopo è il miglioramento delle condizioni dei poveri. Perché la meravigliosa notizia che Oxfam ignora è che, come mostrano i dati della Banca mondiale sui redditi, il tasso di povertà assoluta è sceso dal 44 per cento della popolazione mondiale negli anni 80 a meno del 10 per cento di oggi: grazie alla globalizzazione i poveri non sono mai stati così ricchi nella storia dell’umanità. I 62 super-ricchi del pianeta non sono diventati paperoni rubando ai poveri, anzi il successo economico, le idee imprenditoriali e gli investimenti di molti di questi miliardari hanno permesso di alzare lo standard di vita delle centinaia di milioni di persone uscite dalla povertà estrema.

 

L’andamento dei redditi, più che la ricchezza netta, è un indicatore per misurare le disuguaglianze che Oxfam dovrebbe tenere ben presente, visto che una recente inchiesta del Telegraph ha mostrato come le principali associazioni di beneficenza britanniche, tra cui la stessa Oxfam, durante gli anni della crisi e nonostante il calo delle donazioni, abbiano aumentato del 60 per cento gli stipendi superiori alle 100 mila sterline l’anno dei propri dirigenti. Oxfam invece preferisce preoccuparsi della ricchezza dei ricchi anziché occuparsi del miglioramento della vita dei poveri. Non c’entra molto con la sua mission, ma serve per arrivare sulle prime pagine dei giornali occidentali.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali