Weidmann attacca: il vero azionista di Mps non è in Italia

Marco Cecchini

Il banchiere tedesco spiega perché quello di Siena è un sostanziale commissariamento europeo

Roma. Chi si illudeva che con il decreto varato nella notte di giovedì il caso Mps fosse avviato a conclusione con gran sollievo dei mercati, che restasse solo da portare a termine un negoziato con la Commissione già impostato, è servito. Poche parole pronunciate ieri a New York da Jens Weidmann danno il segno di che cosa significhi non essere più padroni in nulla del proprio destino bancario. “Per le misure decise dal governo (italiano ndr) le banche devono essere finanziariamente sane a livello core. I fondi pubblici non possono essere usati per coprire le perdite che sono già previste. Tutto questo deve essere attentamente esaminato”, ha detto il presidente della Bundesbank, che ha aggiunto di temere d’ora in poi “forti turbolenze”. Nelle stesse ore Isabel Schnabel, uno dei Cinque Saggi del governo di Berlino, ha steso la lista di una terapia d’emergenza: “un’ampia pulizia nel sistema bancario italiano che porti alla chiusura delle banche insolventi, alla ricapitalizzazione di quelle sane e alla sistemazione dei crediti deteriorati”. L’uscita americana di Weidmann non è una bocciatura del piano di salvataggio italiano, è però un avvertimento chiaro alla Commissione, che forse non ne aveva bisogno, ma i cui margini di manovra adesso si restringono alla stretta applicazione delle regole senza possibilità di sconti. Del resto in una lunga intervista alla Faz pochi giorni prima del decreto salva banche di Roma, parlando dell’Italia Weidmann non aveva escluso né “una eventuale partecipazione anche dello Stato alla soluzione di una crisi (bancaria ndr.)” né la possibilità di “proteggere i piccoli risparmiatori con interventi mirati”. 

 

 

Parole queste, che in Germania (e in Italia) erano state interpretare come un sostanziale via libera al salvataggio del Monte con fondi pubblici. Ma l’uscita americana di Weidmann è anche un messaggio all’opinione pubblica tedesca in allarme che negli ultimi tempi non aveva lesinato critiche al banchiere per avere in una qualche misura abbandonato gli abiti del severo guardiano della stabilità monetaria: la banca centrale vigila, Herr Schmidt può stare tranquillo, le regole saranno rispettate. La reazione dei media tedeschi, da sempre buoni interpreti del clima di opinione, alla notizia del salvataggio del Monte è stata del resto feroce. La stampa ha descritto il salvataggio di Mps come un immorale aggiramento delle norme sul bail in, un precedente pericoloso che può condurre alla virtuale archiviazione della disciplina che vorrebbe che a pagare i disastri bancari non fossero i contribuenti, ma che alla prima vera prova si sta sciogliendo come neve al sole per responsabilità dell’Italia. La Suddeutsche Zeitung ha definito una “farsa” il salvataggio del Monte, mentre Handelsblatt, il più autorevole quotidiano economico, ha titolato “Lasciate che Mps fallisca”.

 

Di fronte al montare della indignazione le reazioni ufficiali sono state in confronto misurate. La Cancelliera Angela Merkel, è vero, ha ammonito l’Italia a rispettare le regole e a non caricare sui contribuenti il salvataggio del Monte, ma non ha affondato il coltello nella piaga. Il potente ministro delle Finanze, Wolfgang Schauble, fama di falco, non ha commentato. Può darsi che questa prudenza sia dettata da qualche timore per la situazione bancaria domestica (i guai di Deutsche Bank sono arginati ma non scomparsi), come può essere che essa sia un riflesso di Realpolitik euromonetaria vista la delicata fase attraversata dal progetto europeo.

 

Se nella presa di posizione della Bundesbank hanno giocato fattori interni, è altrettanto vero però che essa riporta la questione bancaria italiana su un piano di realtà che è quello di un sostanziale commissariamento. Il negoziato con Bruxelles da domani si fa più difficile. Come ha osservato la Lex Column del Financial Times, sempre pronta a premere il dito nelle piaghe dell’anello debole del sistema euro, uno degli snodi cruciali verterà proprio sulla questione del risarcimento dei 40mila possessori di obbligazioni subordinate che saranno azzerati e che il decreto del governo intende risarcire al 100 per cento. Le regole europee prevedono tuttavia che si possano risarcire solo gli obbligazionisti frodati. Il Monte dovrebbe quindi ammettere di avere deliberatamente frodato 40mila clienti. Con tutte le conseguenze giuridiche del caso.

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