Alessandro Di Battista (foto LaPresse)

Su referendum e banche, irrompono “I Protocolli dei Savi di Jp Morgan”

Luciano Capone
Un report di 15 pagine sulla crisi dell’Eurozona che in un breve passaggio si sofferma sulle riforme istituzionali nei paesi periferici, le cui “Costituzioni mostrano una forte influenza socialista”. E da lì, di puntino in puntino, Dibba ha unito il recente cambio ai vertici di Mps, l’ambasciatore americano, Manuel Barroso e Goldman Sachs, Bankitalia e tanto altro.

Roma. Per decenni i “Protocolli dei Savi di Sion” sono stati il documento che svelava la cospirazione ebraica per il dominio del mondo. Il fatto che appena dopo la pubblicazione venne dimostrato che si trattava di un falso storico, non ne impedì la diffusione, anche perché gli antisemiti aggirarono il problema dell’attendibilità dei Protocolli con il ragionamento sintetizzato così dal filosofo nero Julius Evola: “Il problema della loro autenticità è secondario e da sostituirsi con quello, ben più essenziale, della loro veridicità. Quand’anche i Protocolli non fossero autentici, è come se lo fossero, perché i fatti ne dimostrano la verità”.

 

Così è più facile capire come – nel dibattito sulla riforma della Costituzione, che è pur sempre un obiettivo modesto rispetto alla conquista del mondo – sia possibile che il fronte del “no” al referendum creda che la riforma Renzi-Boschi sia una cospirazione della Jp Morgan, anche perché in questo caso i “Protocolli dei Savi di Jp Morgan” sono pure autentici. Pochi giorni fa il grillino Alessandro Di Battista, pubblicando la foto di un report della banca americana, ha scritto: “Vi invito solo a unire i punti. Questo è il documento della Jp Morgan nel quale si invitano i paesi del sud Europa a superare le proprie Costituzioni in quanto troppo incentrate sui diritti sociali”. E da lì, di puntino in puntino, Dibba ha unito il recente cambio ai vertici di Mps, l’ambasciatore americano, Manuel Barroso e Goldman Sachs, Bankitalia e tanto altro.

 

Cosa ci sarà mai scritto di tanto malefico in questo documento? E’ un report di 15 pagine sulla crisi dell’Eurozona che in un breve passaggio si sofferma sulle riforme istituzionali nei paesi periferici, le cui “Costituzioni mostrano una forte influenza socialista” e i cui sistemi politici hanno le seguenti caratteristiche: “Esecutivi deboli, stati centrali deboli rispetto alle regioni, tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori, sistemi di consenso che favoriscono il clientelismo; e il diritto di protestare se vengono apportate modifiche sgradite allo status quo politico”.

 

Si tratta insomma di poche righe, magari scritte da uno stagista, all’interno di un report come tanti altri che in quei mesi venivano prodotti da decine di istituti finanziari e organizzazioni internazionali. Nessun piano (che tra l’altro non aveva senso mettere per iscritto), anche perché di riforme istituzionali in Italia se ne parla da qualche decina d’anni. Inoltre il processo di riforma costituzionale era già stato avviato dall’allora premier Enrico Letta: quindi se dietro Renzi c’è Jp Morgan, dietro Jp Morgan ci dovrebbe essere Letta. Si capisce bene che non ha senso. Stavolta però il povero Dibba non ha preso in prestito la favola da Sibilia e Bernini, i grillini teorici del finto allunaggio e dei microchip sottopelle, perché la storia della riforma della Costituzione voluta e ordinata dalla banca americana è stata esposta e protocollata dai raffinati intellettuali del mondo progressista e democratico.

 

La prima a parlarne è stata Barbara Spinelli su Repubblica nel 2013: “Senza pudore, Jp Morgan sale sul pulpito e riscrive le biografie, compresa la propria, consigliando alle democrazie di darsi come bussola non più Magne Carte, ma statuti bancari e duci forti”. Dopo di lei ne hanno parlato tanti: Gustavo Zagrebelsky (“Nel rapporto di Jp Morgan si è letto che la nostra è una ‘Costituzione infida’”), Marco Travaglio (“Ci sono troppe coincidenze sul fatto che questo governo faccia riferimento a precise lobby, vedi Jp Morgan che fece sapere che la nostra Costituzione era obsoleta”), l’ex giudice costituzionale Paolo Maddalena (“La riforma è ispirata dalle lobby internazionali, è stata diffusa una chiara richiesta della Jp Morgan”), lo storico dell’arte Tomaso Montanari (è una riforma “plasmata sulle richieste delle grandi banche internazionali”).

 

Ma c’è chi, come Dibba, unisce i puntini nello spazio e nel tempo. Antonio Ingroia, per esempio: “Lo stesso sogno del potere senza controlli lo ritroviamo nel post Berlusconi, quarant’anni dopo il Piano di rinascita (di Licio Gelli, ndr), nel memorandum di Jp Morgan”. E così, in un attimo, si passa dalla P2 alla JP2. Ma non basta, la politologa e presidente di Libertà e Giustizia Nadia Urbinati unisce un altro puntino: “Prima del documento di Jp Morgan, nel 1975 la Trilateral, una congrega internazionale dove è andata anche la Boschi, stilò il primo esposto sulla crisi della democrazia. Oggi, con questa riforma, si realizza il progetto della Trilateral”.

 

Salvatore Settis, da buon archeologo, scava più a fondo: “L’ordine di scuderia viene da lontano. In realtà neanche al documento di Jp Morgan si deve la primogenitura, tutto questo viene da Margaret Thatcher e Roland (sic!) Reagan”. Jp Morgan, Mps, Licio Gelli, la Thatcher, la Trilateral, l’unione di questi puntini ricorda una passo del “Pendolo di Foucault”, il classico di Umberto Eco sul complottismo: “Amparo mi sussurrò che le pareva mancassero solo Cambronne, Geronimo e Pancho Villa”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali