Masayoshi Son (foto Youtube)

Il risiko del “re dei chip” Masayoshi Son, dall'America all'Arabia Saudita

Ugo Bertone

Tycoon asiatico asseconda la megalomania di Trump

Milano. Ma quant’è difficile seguire le mosse di Donald Trump, presidente con il bernoccolo degli affari. E’l’uomo più sensibile agli interessi dei colossi dell’industria americana. Ma lui, per tutta risposta, minaccia di cancellare l’ordine a Boeing per il nuovo aereo presidenziale, “perché troppo caro”. Intervistato da Time, ha gelato la Borsa: “I prezzi delle medicine devono scendere”. Una sola linea sembra non ammettere deroghe: l’antipatia manifesta per i campioni dell’economia digitale Amazon, Apple e Facebook escluse dal cenacolo dei grandi del business che tutti i mesi si riuniranno alla Casa Bianca. Ma anche qui c’è un’eccezione: martedì scorso il presidente ha spalancato le porte della Trump Tower a Masayoshi Son,il numero uno della tecnologia giapponese, che gli ha lanciato una proposta indecente: investirò, gli ha detto, 50 miliardi di dollari in America, e così creerò 50 mila nuovi posti di lavoro. Il presidente s’è quasi commosso, abbracciando il tycoon di Tokyo che gli arriva a malapena alle ascelle. “Masa mi ha detto – ha rivelato davanti alle telecamere – che quest’offerta non l’avrebbe fatta se non ci fossi stato io”. “Masa” ha abbozzato: “Quest’uomo farà davvero di nuovo grande l’America”.

E nel frattempo ha già incassato il suo dividendo: Trump gli ha garantito appoggio per rimuovere il veto che la Fcc, l’authority americano per le comunicazioni, ha posto contro l’offerta di Sprint (controllata dal miliardario di Tokyo) su T-Mobile, un deal che potrebbe garantire a Masayoshi la leadership nelle Tlc degli Stati Uniti. E’ solo una delle imprese, certo non la più ambiziosa, del tycoon giapponese, il più lesto a capire la nuova aria che tira a Washington. In questi mesi Masayoshi ha avviato il più importante fondo di investimento tecnologico della storia: 100 miliardi di dollari, di cui 70 già versati. Lui ne ha messi 25, gli altri 45 arrivano dai forzieri dell’Arabia Saudita. E’ stato lui in persona a convincere l’uomo forte di Riad, il principe Mohammad Bin Salman, che questa è la via migliore per garantire al regno il benessere minacciato dal declino del petrolio. E gli altri 30? Arriveranno da altri paesi del Golfo, Qatar in testa, e da Foxconn, il gigante di Taiwan che nelle sue fabbriche cinesi sforna gli iPhone e i pc di Apple ma non solo. Grazie a Masa i nemici giurati di Trump, cinesi e musulmani in odore di integralismo, potrebbero insomma contribuire a finanziare la Trumponomics. Andrà così? C’è chi ne dubita anche perché la carriera del proprietario di Softbank, il secondo uomo più ricco del Giappone, piena di innamoramenti e di cambi improvvisi di rotta, non è certo stata lineare. Ma anche questo accomuna Trump e Masa, così yankee nei modi spicci appresi a Berkeley negli anni dell’università.

Nulla a che vedere con l’armoniosa cortesia dei vip dell’economia nipponica. Masa è stato capace di dare scandalo al ministero giapponese delle Comunicazioni minacciando due volte di darsi fuoco se gli fosse stata negata la licenza per la fibra ottica o minacciando di prendere a pugni il funzionario di turno se fosse stata concessa l’autorizzazione ai rivali di Kddi. Un parvenu agli occhi del Giappone imperiale, discendente da una famiglia coreana (i “paria” del Sol levante) per giunta di umili origini. I primi soldi Son, oggi 59 anni, li ha fatti vendendo, poco più che ragazzo, un traduttore automatico a Sharp, sviluppato sul disegno di compagni di corso. Da allora la strategia non è cambiata: è uno che sa trasformare le idee altrui in novità rivoluzionarie e miliardarie. E’ stato così per Yahoo!, da lui finanziata fin quasi dalle origini. Per Alibaba, il colosso online di Jack Ma di cui è grande e fortunato azionista. O per la britannica Arm, l’“officina” più innovativa dell’elettronica che Masa ha strapagato (32 miliardi di dollari) per farne il pioniere dell’Internet delle cose, ovvero la fabbrica che dovrà sfornare un nuovo mondo fatto di oggetti figli dell’età dei chip. Ad aiutarlo nel suo sogno megalomane potrebbe essere proprio Trump, un altro che sa pensare solo in grande. 

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