(foto LaPresse)

Chi è Hayes, lo “spallone” dei cinesi costretti a tenere i soldi in patria

Ugo Bertone

Bitcoin depotenzia la stretta sui capitali in Cina

Milano. Troppo denaro all’estero, spesso senza una missione precisa. E così la Cina, a fronte di 176 miliardi di dollari usciti in dieci mesi dalle casse della Banca centrale (contro 121 miliardi nell’intero 2015), ha deciso di correre ai ripari: d’ora in poi ogni operazione societaria oltre un miliardo di dollari dovrà essere valutata dagli uffici del governo che daranno il via libera solo alle operazioni “coerenti con il business del settore”. Basta, insomma, con le miniere dello Xinjiang che comprano videogiochi in Scandinavia o con i gruppi alimentari che investono in un club di calcio inglese a danno della bilancia dei pagamenti. Ma la svolta imposta dal presidente Xi Jinping, ribaltando la politica precedente, promette una stretta ben più feroce, destinata a colpire la classe media, che in questi anni ha scoperto la via dell’estero, un po’ per sicurezza, un po’ per sfuggire agli ispettori anti-corruzione sguinzagliati dal presidente o agli ispettori del fisco, come capitava alla borghesia di casa nostra in fuga verso Chiasso e Lugano, nell’era pre-scudo quando ancora c’erano pingui profitti da occultare. Ma di fronte alle masse anche il potere assoluto del Partito deve procedere con prudenza. Saranno vietate le polizze sui conti esteri o le transazioni via carta di credito. E già si parla di una stretta conto gli investimenti sopra il milione di dollari, frustrando il sogno dei “sciur” Brambilla del Celeste Impero di una casa a Vancouver o a San Diego.

Una buona opportunità per gli “spalloni” di valuta, che si tratti dei “cattivi ragazzi” della mafia di Macau o degli angeli della moneta virtuale tra i quali spicca Arthur Hayes, americano, 30 anni, laurea in Economia alla Wharton University, cinese un po’ per vocazione un po’ per caso. La sua folgorazione sulla via della moneta elettronica, Hayes l’ha avuta quando nel 2013 fu licenziato assieme a 11 mila colleghi dalla filiale di Hong Kong di Citicorp. Invece di prendere la via nel ritorno a casa, il giovane bancario scoprì il Bitcoin e la possibilità di far soldi sfruttando le differenze di prezzo della valuta elettronica in Cina rispetto a Hong Kong. Così si trasformò in uno “spallone” elettronico, forse il primo della storia della moneta virtuale, sempre più diffusa in Cina, che rappresenta il 93 per cento degli scambi. Facendo la spola tra Shenzhen (dove il Bitcoin costava di più) e Hong Kong, mister Hayes ha concepito il classico uovo di Colombo: creare una Borsa, BitMex, che funziona con la moneta virtuale; chi entra nel gioco (nell’ex colonia britannica il Bitcoin non è considerato una moneta, perciò non deve sottostare ad alcuna regola finanziaria) può comprare e vendere azioni quotate sui mercati azionari utilizzando bitcoin che potrà convertire in yuan, dollari, rubli o quel che vuole.

A differenza dei mercati virtuali periodicamente coinvolti in frodi più o meno clamorose, BitMex non compra e vende bitcoin ma titoli azionari sfruttando la grande flessibilità dello strumento. Soprattutto per i piccoli speculatori che possono comprare e vendere titoli di Apple o Facebook per poche centinaia di dollari, cosa che non è possibile con le piattaforme tradizionali delle banche o dei listini online, tipo e Trade, che richiedono conti e garanzie robusti per poter operare. Non solo: Hayes specializzato i contratti derivati, ha costruito una piattaforma simile al Chicago Mercantile Exchange, ove si può operare con un effetto leva di quattro volte o più. Finora, assicura Hayes, nessuno ha fatto default viste le coperture richieste (e i consigli del banchiere). L’idea ha funzionato: alla piattaforma hanno aderito in 5.600, ciò ha consentito ad Hayes e ai suoli due soci di guadagnare nel primo anno di attività 360 mila dollari in commissioni, quasi un record per il settore. BitMex ha vinto il primo premio nel torneo di Singapore che ha messo a confronto 475 start up. Grazie a questo successo si potrà si potrà lanciare una campagna di comunicazione in grande stile e/o stringere accordi con qualche banca. Ma bisogna esser prudenti: ci vuol poco a finire nel libretto nero “dei cattivi ragazzi” del presidente Xi. 

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