Il re spagnolo Felipe VI incontra gli operai di una fabbrica Renault (foto LaPresse)

Cosa può imparare Camusso dal Lavoro di Rajoy

Renzo Rosati
Con un mercato flessibile che non snobba i voucher, la disoccupazione in Spagna continua a scendere. Perché il lavoro non puzza. In qualsiasi forma si presenti.

Roma. In Spagna, il paese europeo che dopo la Grecia ha più sofferto la crisi, la disoccupazione continua a scendere: nel terzo trimestre 2016 è al 18,9 per cento, riporta l’istituto di statistica Ine, dato oltre le attese e molto al di sotto del 20 per cento del secondo trimestre. I disoccupati sono ancora 4,3 milioni; ma dal picco di sei del febbraio 2013, pari al 26,3 per cento, il recupero di posti di lavoro è stato costante. I disoccupati sono ai minimi dal dicembre 2009; e quest’anno 479 mila persone sono entrate o rientrate nel mondo del lavoro e non solo grazie agli impieghi stagionali nel turismo: ad assumere sono i servizi (178 mila posti) e in misura minore l’industria e le costruzioni.

 

Con un mercato molto flessibile, che utilizza in maniera intensiva contratti temporanei e vaucher assai contestati in Italia, i lavori part-time riescono a trasformarsi in rapporti fissi, i quali a loro volta non impongono alle aziende particolari penalità.

 

“El trabajo no huele”, il lavoro non puzza in qualsiasi forma si presenti, tanto più con l’economia ancora non uscita dal tunnel ma che ce la mette tutta: ieri lo stesso Ine ha diffuso anche i dati del pil, in aumento dello 0,7 per cento nel terzo trimestre e del 3,2 su base annua, mentre i prezzi dopo la crescita zero di settembre tornano a salire a ottobre dello 0,5. Il clima moderatamente favorevole si riflette anche sulla politica, dove il Partito popolare di Mariano Rajoy che ha vinto due volte le elezioni senza maggioranza assoluta, ora sta per formare un governo con l’astensione dei socialisti, i quali rischiano il sorpasso da parte di Podemos. Senza tuttavia che la sinistra populista di Pablo Iglesias riesca  a correre per il primo posto. Podemos ha un programma simile a Syriza, che però ad Atene si è poi piegato alla realpolitik; mentre a differenza dei grillini italiani dice di “non pensarci neppure ad uscire dall’euro”. A parte questo, Iglesias ha spesso attaccato Matteo Renzi proprio sul lavoro, accusandolo di “voler ridurre gli italiani a fare i camerieri dei turisti tedeschi, come gli spagnoli”.

 

Il capo di Podemos si trova così in sintonia con Susanna Camusso, segretaria della Cgil. Oltre ad avversare aspramente il Jobs Act e martellare quotidianamente contro i vaucher (i quali, come dimostrano invece gli ultimi dati Inps, sono pari al 5,7 per cento delle nuove assunzioni a tempo indeterminato), Camusso ha individuato un nuovo fronte di lotta in un accordo per 27 mila stage di studenti delle superiori tra ministero dell’Istruzione e 16 organizzazioni e aziende; tra le quali, orrore, c’è McDonald’s con 10 mila apprendistati nei 500 locali in tutta Italia. “Ma è lavoro quello?”, denuncia la Cgil, forse nostalgica delle antiche battaglie contro il colonialismo paninaro americano, e più attualmente ammiccando, come spiega il Fatto, a “papà e mamma vegani” (e magari ai prelati che non vogliono McDonald’s vicino al Vaticano, preferendo per questioni condominiali le “trattorie tipiche”). Stupore nella multinazionale degli hamburger che ha avviato la campagna “Benvenuti studenti” precisando che i ragazzi avranno un addestramento e tutor per imparare attività di accoglienza e relazione con il pubblico.

 

Che sia davvero l’oscuro preludio al futuro “da “camerieri”? Non ci crede Bloomberg in un’analisi del mercato del lavoro in Stati Uniti, Germania, Canada e Italia. A dispetto di apparenze ed evidenze (l’Italia ha il più basso tasso di occupazione dei quattro), risulta che gli italiani cominciano a lavorare più tardi, ma nelle fasce 35-44 anni e 45-54 superano nettamente gli americani, e nella seconda fascia l’occupazione è seconda solo ai tedeschi tra i non laureati (94 per cento i tedeschi, 89 gli italiani, 85 i canadesi, 84 gli americani). Il gap è proprio tra i ragazzi più giovani, e anche un po’ di apprendistato tra i fornelli con i Big Mac può aiutare a colmarlo, per quanto male ne pensi la Cgil.