(foto LaPresse)

Risolvere la crisi lavorativa dei giovani italiani vale 142 miliardi, dice uno studio PwC

Antonio Grizzuti

La società di consulenza stima che adeguandoci ai livelli dei paesi più virtuosi, abbassando la disoccupazione giovanile, porteremmo nelle casse dello stato cinque volte l’importo della manovra appena varata dal governo Renzi.

“Fuggite, sciocchi!”, urlava Gandalf ai membri della Compagnia dell’Anello inseguiti dal Balrog nelle miniere di Moria, nel “Signore degli Anelli”. Cos’altro si potrebbe dire ai giovani italiani, vista la recente sfilza di studi, statistiche e rapporti che evidenziano un semplicissimo concetto: il nostro paese ha gettato nell’immondizia più di una generazione, scegliendo di non investire proprio nella categoria che dovrebbe assicurargli un futuro, cioè i giovani.

 

Non bastavano i dati Eurostat, che nel dashboard dedicato ai giovani ci inserisce all’ultimo posto in più di un indicatore, o il rapporto Caritas, che fotografa la condizione di estrema povertà in cui rischiano di cadere le nuove generazioni, e nemmeno i dati Ocse, che ci mettono al primo posto per percentuale di giovani che vivono ancora con i genitori. L’ultima mazzata arriva dal rapporto “Young Workers Index 2016”  firmato nientemeno che PricewaterhouseCoopers, una delle big four mondiali nel settore delle consulenze e della revisione di bilancio insieme a Deloitte, Ernst&Young e KPMG.

 

Lo studio combina alcuni fattori tra cui la percentuale di Neet (giovani che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in programmi di formazione), tasso di occupazione e disoccupazione giovanile, tasso di abbandono scolastico, ricavando così un punteggio per ciascun paese. Ma PwC non si limita a stilare una classifica: stima il potenziale beneficio economico che ciascun paese potrebbe trarre se adottasse misure per allinearsi ai primi della classe.

 

Com’è facile immaginare, l’Italia fa una figura barbina. Nel complesso dei trentacinque paesi considerati è ultima (lo era anche nelle precedenti edizioni) e il punteggio complessivo è in caduta libera da 30,3 del 2006 all’11,6 odierno (la Svizzera, prima del ranking, ha un punteggio complessivo di 67,7 punti, seguita da Germania e Austria). Il gap percentuale con la Germania per quanto riguarda i Neet e del 24,8 per cento, ma ciò che più impressiona è che il suo azzeramento vale l’8,4 per cento, ovvero 142 miliardi di euro, cinque volte l’importo della manovra appena varata dal governo Renzi, tanto per capirci.

 

“Ognuno di noi ha un potenziale, il punto è sbloccarlo”, ha commentato David Tran, ventitreenne consulente Pwc, nell’introduzione al rapporto. “Non dobbiamo inventare la ruota per potenziare le giovani generazioni”, spiega Tran, “è sufficiente prendere a modello paesi come la Germania, che sono stati in grado di migliorare le condizioni economiche delle fasce più giovani nonostante la crisi”. E come dargli torto? Sbloccare questo potenziale a livello globale significherebbe, sostengono alla Price, recuperare mille miliardi di dollari, pari all’1,4 per cento del prodotto interno lordo mondiale . Numeri davvero troppo importanti per essere ignorati.

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