Il Foglio internazionale

Il “tassa e spendi” va di moda all'Onu

Redazione
Le analisi prodotte dalle stesse organizzazioni internazionali "sostengono semplicemente che i governi potrebbero avviare degli stupendi ‘investimenti’ pro crescita, se solo i politici potranno mettere le mani nelle tasche del settore privato”. Una tesi incredibile, spiega Mitchell.

In un articolo pubblicato dalla Foundation for Economic Education, Daniel J. Mitchell, fellow al think tank liberista Cato Institute, ha affrontato la strategia delle organizzazioni internazionali per incoraggiare i governi ad aumentare le tasse per promuovere crescita e sviluppo. Mitchell fa tre esempi: “L’Ocse ha scritto che ‘una maggiore mobilitazione di risorse domestiche è ampiamente accettata come cruciale affinché i paesi superino con successo le sfide dello sviluppo e raggiungano standard di vita più alti per i loro cittadini’. L’Fmi  sta suonando la stessa musica, visto che i notiziari citano il suo più alto burocrate il quale sostiene che ‘le economie devono rafforzare la propria struttura fiscale incrementando le fonti di gettito’. Infine l’Onu ‘ha chiesto una tassa sui miliardari per aiutare a raccogliere 400 miliardi di dollari all’anno’ ed è abituato a definire simili prelievi forzosi come ‘finanziamenti per lo sviluppo’”.

 

Nonostante queste raccomandazioni, le analisi prodotte dalle stesse organizzazioni internazionali, “non producono mai alcuna dimostrazione di questa ipotesi. Nessuna. Zero. Nada. Sostengono semplicemente che i governi potrebbero avviare degli stupendi ‘investimenti’ pro crescita, se solo i politici potranno mettere le mani nelle tasche del settore privato”. Una tesi incredibile, spiega Mitchell, “specialmente quando esistono ampie prove, portate da ricercatori seri, secondo le quali le prestazioni economiche peggiorano quando la spesa pubblica aumenta. Per non menzionare il fatto che la maggior parte delle persone ragionevoli può osservare il mondo, vedere le economie moribonde dei paesi con i più alti tassi di spesa pubblica (come Francia, Italia e Grecia) e paragonarle con le prestazioni migliori di paesi con una spesa molto più contenuta (come Hong Kong, la Svizzera e Singapore)”. Alcune delle organizzazioni ribatterebbero che le loro ricette di “tassa e spendi” valgono almeno per i paesi emergenti.

 

Replica Mitchell: “E’ vero che i governi dei paesi emergenti non hanno abbastanza denaro per fornire i beni pubblici primari? La risposta è no. (…) Un paio di anni fa ho condiviso con i miei lettori uno studio che dimostrava che i paesi nel Nord America e nell’Europa occidentali diventarono ricchi nel 1800 e nei primi anni del 1900, quando il fardello della spesa pubblica era molto modesto. Da questi dati si dovrebbe logicamente concludere che oggigiorno i paesi poveri dovrebbero copiare un simile approccio. Invece esistono dati del Fondo monetario internazionale sulla spesa pubblica in varie regioni povere del mondo dai quali, una volta esaminati, si evince che il fardello della spesa pubblica in queste zone è dalle due alle tre volte maggiore di quello che caratterizzava gli Stati Uniti e altri paesi occidentali quando passarono dalla povertà alla prosperità diffusa della classe media”. E’ la conferma, conclude Mitchell, “che spesa pubblica contenuta e  libero mercato sono la ricetta per la crescita e la prosperità in tutte le nazioni”. All’Onu dispiacendo.

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