Lista delle incompiute economiche renziane ancora da risolvere
Roma. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, lo sa bene: la legge di Stabilità oggi in Consiglio dei ministri contiene ben poco delle frustate all’economia (non tutte certo andate a segno come sperato) delle due precedenti manovre. Nulla di simile al Jobs Act, agli sgravi-assunzioni, agli 80 euro e all’abolizione delle tasse sulla prima casa. Ci sono, è vero, la riduzione delle imposte per le imprese e l’avvio degli sgravi per l’Industria 4.0. Qualcosa per gli investimenti dei comuni. Ma la parte “core” sono le pensioni, lo sblocco dei contratti pubblici e la promessa di nuove assunzioni. Niente choc fiscale ma misure di contorno (abolizione di Equitalia, nuova Voluntary disclosure dei capitali all’estero). Molto sociale, compreso il ritorno dei sindacati a Palazzo Chigi.
Mentre è lunga la lista delle voci rinviate, dalla concorrenza alle privatizzazioni, e dei capitoli non chiusi, come le banche. Il succo della manovra. La pensione anticipata (Ape) sarà finanziata dallo stato fino ai redditi da 1.350 euro e per lavori usuranti quali edili, macchinisti, infermieri di sala operatoria; ma anche maestre d’asilo. Nel triennio costerà 6 miliardi. Sempre per i pensionati quattordicesima, “no tax area” e ricongiunzioni porteranno via un altro miliardo l’anno. Nella manovra si prevede il taglio dal 27,5 al 24 per cento dell’Ires sulle imprese, la prima tranche dei finanziamenti per la digitalizzazione industriale, gli sgravi per salari di produttività valgono 5,5 miliardi. Lo sblocco degli investimenti dei comuni 2 miliardi. I contratti pubblici, i 10 mila nuovi assunti promessi tra infermieri, forze dell’ordine e (forse) medici, il bonus famiglie con due figli e basso reddito costituiscono un pacchetto da 1,5-2 miliardi.
Decimali e clausole europee. Neutralizzare la salvaguardia 2017 (aumenti Iva) comporta 15,2 miliardi, ma essa si ripeterà nei due anni successivi. Prosegue il tormentone della flessibilità rispetto all’obiettivo di deficit al 2 per cento, già superiore all’1,8 contrattato l’anno scorso, ma che il governo vuole elevare al 2,2-2,4. Niente concorrenza. Dopo 1.800 emendamenti slitta a data da destinarsi il disegno di legge (ex) annuale (taxi, farmacie, notai), presentata 603 giorni fa. Spending (non) review. Eguale sorte per i tagli alla spesa pubblica. Gli ultimi commissari al capezzale, Yoram Gutgeld ed Enrico Bondi ne avevano annunciati per 25 miliardi.
Privatizzazioni? Non è il momento. Dice Pier Carlo Padoan che le privatizzazioni restano in agenda, ma “dipende dalla situazione del mercato”. Per prime le Ferrovie, con la quotazione di Trenitalia, in particolare le Frecce. Ma intanto le Fs intendono comprare aziende locali più o meno disastrate, tipo la Fse pugliese e l’Atac a Roma. Banca d’Italia invoca più investimenti. “Gli investimenti si sono riavviati, ma la crescita è modesta rispetto agli altri paesi dell’euro e a quanto si osserva all’uscita da episodi recessivi. Un ritorno ai ritmi di investimento pre-crisi, oltre a rafforzare la ripresa ciclica, innalzerebbe la crescita potenziale di oltre mezzo punto”: lo scrive il bollettino mensile della Banca d’Italia pubblicato ieri.
Banche: Bpm-Bp verso la fusione, quelle venete sono in stand by. Per le ricapitalizzazioni delle ex popolari il governo si affida al buon esito della fusione tra Bpm (oggi l’assemblea) e Banco popolare, e al fondo Atlante per Popolare di Vicenza-Veneto Banca. Mps tra JP Morgan e Passera. La pratica è nelle mani di JO Morgan con Mediobanca advisor del Tesoro. Ma l’ex banchiere e ministro Corrado Passera continua a lavorare a un’alternativa col fondo americano Warburg. La percentuale di svalutazione dei crediti deteriorati divide JP Morgan e Atlante. L’azionista governo vuole spendere il meno possibile per l’aumento di capitale di Mps. Restano da vendere le quattro banche “risolte” nel 2015, per tre delle quali c’è l’interesse di Ubi, mentre per la quarta (CariFerrara) l’istituto di Bergamo è intermediario con la panamense Barents Re.