Il segretario della Lega Matteo Salvini (foto LaPresse)

Le ragioni perse in banca

Redazione
Le lodi del modello territoriale-partitico che Lega e sinistra dimenticano.

Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Popolare di Milano, Banco popolare, Monte dei Paschi, oltre ai quattro “risolti” a fine 2015, Popolare dell’Etruria, Banca Marche, CariChieti, CariFerrara: tutti gli istituti i cui dossier sono sul tavolo di governo, Banca d’Italia e Unione europea hanno nel nome e ragione sociale i loro guai. Banche popolari o cooperative “a vocazione territoriale”, come si diceva anche all’epoca di spericolate acquisizioni da un capo all’altro d’Italia. E difese a nord specie dalla Lega di Matteo Salvini, che contro la riforma minacciò “le barricate”; e ancor prima per Mps dal vecchio Pci, all’epilogo a tendenza D’Alema. Quando il governo Monti rinnovò a Siena il prestito al 9 per cento di Giulio Tremonti, Lega e Forza Italia affette da un po’ di amnesia insorsero dicendo che si dirottavano lì i soldi dell’Ici.

 

Quando Renzi ha costretto le popolari a trasformarsi in spa abolendo voto capitario e traffico di deleghe, e poi a fondersi, Beppe Grillo e Marco Travaglio l’hanno accusato di essere il Gauleiter del grande capitale. Per Etruria e dintorni, Grillo, Travaglio & Salvini associati non hanno saputo argomentare se non la storia dei papà (della Boschi, di Renzi stesso). Gli autoproclamati custodi dei cittadini e del territorio – Lega, grillini, sinistra benecomunista – hanno fatto e detto di tutto tranne accorgersi del virus che ben prima delle rogne europee o del caso Deutsche Bank minava il loro amato modello bancario: scarsa o zero capitalizzazione, dipendenti del tipo degli uffici pubblici (70 mila in nove, un quinto del totale italiano), perdite travestite da utili, o peggio.  

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