Pier Carlo Padoan (foto LaPresse)

La versione di Padoan al Foglio

Redazione
Il piano JPMorgan per Mps? Il ministro dell’Economia dice che non ha nulla da rimproverarsi: “Andrà bene”. Nazionalizzazione? “Idea strana”. Deficit oltre il 3%? Nessun tabù. Referendum? “Se vince il ‘no’, una crisi di sfiducia”.

Roma. Pochi istanti prima di riunirsi con  con i massimi esponenti della Banca d’Italia e dei principali istituti di credito “per fare il punto” sulla complessa ristrutturazione in fieri del settore bancario – ieri Ubi si è intiepidita all’idea di comprare tre delle quattro banche regionali messe in risoluzione nel 2015, dopo che la Banca centrale europea ha alzato gli oneri finanziari per la banca lombarda – il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha risposto in videoconferenza da Roma alle domande del direttore del Foglio, Claudio Cerasa, dal convegno al Teatro Parenti di Milano “Economia, innovazione e politica. Come si ricostruisce l’Italia” (al quale ha partecipato anche Stefano Parisi, federatore dello sfilacciato polo di centrodestra). In queste ore il governo è messo sotto pressione dall’andamento del settore del credito in Borsa (ancora ieri colpito dalle vendite: Ftse Italia Banche meno 1,6 per cento, con l’indice generale poco sotto la parità, meno 0,77) e dalle critiche mediatiche al piano di ristrutturazione e rilancio del Monte dei Paschi di Siena affidato dal governo alla banca d’affaria americana JP Morgan.

 

Ieri, in particolare, si segnalavano due articoli complementari firmati da Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera, di cui è ex direttore, e sul Fatto quotidiano da Massimo Mucchetti, ex vicedirettore del Corriere, presidente della Commissione industria del Senato in quota Pd. De Bortoli ha scritto di “un’opaca vicenda bancaria” in cui il Tesoro con “una telefonata di Padoan su incarico di Renzi” ha costretto alle dimissioni l’ex ad Fabrizio Viola (“aveva appreso della sua sostituzione con un sms di Marco Carrai”, fedele consigliere del premier) per sostituirlo con Marco Morelli, manager di JP Morgan “apprezzato ma con un passato nell’istituto senese”, dove per due volte in passato de Bortoli aveva detto di sentire “odore di massoneria”. Mucchetti ha criticato le lucrose commissioni per 1,7 miliardi che la banca d’affari si sarebbe assicurata per seguire l’aumento di capitale da 5 miliardi di Mps e si è chiesto perché nessuno abbia valutato il piano alternativo di Corrado Passera e Ubs preferendo “consegnare la banca agli americani voluti dal premier che puntano sulle commissioni (senza garanzia di risultato)”.

 

Padoan ha preferito, senza entrare nel dettaglio dell’avvicendamento Viola-Morelli, ha detto che il Tesoro pur essendo primo azionista di Mps (con il 4 per cento) non si è comportato da dominus ma “utilizza la sua posizione in modo soft con vigile attenzione a quello che la banca sta facendo. La banca sta mettendo a punto un piano di ristrutturazione e ricapitalizzazione, un piano molto valido. Come primo azionista il Tesoro ha la sua opinione anche sulla validità del management”, ha ggiunto Padoan ricordando che “Morelli è stato scelto all’unanimità dal cda (il 14 settembre) e deve passare la due diligence di Francoforte (Bce)”.

 


Il Direttore del Foglio, Claudio Cerasa, mentre intervista Pier Carlo Padoan durante l'incontro al Teatro Franco Parenti


 

I dubbi sulla riuscita del piano JP Morgan hanno fatto riemergere l’idea della nazionalizzazione del Monte che Padoan respinge: “Non vedo la necessità di alimentare idee strane che poi vengono tradotte in affermazioni perentorie: nella nuova disciplina europea l’utilizzo di risorse pubbliche – ha ricordato – è subordinato al bail-in che ha costi notevoli e, come in tutti gli ambiti dell’economia, andrebbero valutati i costi e i benefici, il cosiddetto trade-off”. E sfidando le previsioni di FdB e Mucchetti si è detto che il piano “in collaborazione con operatori molto qualificati, avrà successo”. Tuttavia “c’è bisogno di un tempo giusto, non di fretta”, in particolare “per risolvere definitivamente il problema delle sofferenze”.

 

Invece sul Documento di economia e finanza, prodromico alla legge di Stabilità di ottobre, ieri sia la Banca d’Italia sia la Corte dei Conti hanno avvertito che sarebbe opportuno concentrare l’attenzione sugli investimenti. Padoan ha risposto di avere sempre sostenuto, anche quando lavorava ai vertici dell’Ocse, che l’Italia aveva “due ordini di problemi, quello di uscire  dalla crisi finanziaria e quello di risolvere problemi strutturali di lungo periodo”. Gli investimenti sono uno di questi e “sono convinto – ha detto – che manchino investimenti pubblici e privati e nella Legge di Stabilità ci saranno interventi specifici”.  

 

Non ha definito quali ma il governo ha anticipato la proproga dell’ammortamento al 140 per cento per il rinnovo dei macchinari industriali. E se un giorno Renzi dovesse presentarsi a Via XX Settembre chiedendo di sforare il 3 per cento di deficit? Risponde Padoan in prima battuta: “Renzi, una volta diventato presidente, ha dichiarato di essersi convinto che sarebbe meglio far scendere l’indebitamento. Noi parliamo del deficit, ma ci dimentichiamo del debito”. Poi il ministro ha aggiunto: “Comunque, se dovesse dire questa cosa, io gli direi parliamone, valutiamo costi e benefici”.

 

Padoan infine ha avvertito del rischio sistemico derivante da una vittoria del “no” al referendum costituzionale del 4 dicembre. “Ci sarebbe una crisi di sfiducia in tutto il paese”. “Non solo si dice no a una riforma fatta molto bene, ma si dà anche un segnale contrario alla spinta riformatrice del governo che è stato il contributo più importante” dato finora dall’attuale esecutivo. “Nei paesi dove si fanno riforme per semplificare i meccanismi legislativi alla fine si cresce di più […] sono convinto anche il referendum, darà una spinta all’economia italiana di lungo termine – politicamente è catalizzatore di tutto il processo di riforme e e darebbe più fiducia al sistema, sarebbe importante”.