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Tutti i rischi che corre la Commissione europea nello scontro con Apple

Redazione

Servirebbe più cautela, scrive l’Economist: “Gli intenti sono lodevoli, ma i risultati si stanno rivelando controproducenti”.

L’Economist ha pubblicato un editoriale in cui si analizza la questione dello scontro tra Apple e la Commissione europea, rilevando come “per molte persone non ci siano dubbi su chi sia il cattivo (…)” e che “le manipolazioni delle regole sulla tassazione all’estero sono aumentate inesorabilmente. Apple, con la sua miriade di asset intangibili e facili da trasferire per il mondo, è stata tra le società più abili nello sfruttare le scappatoie fiscali. Una tassa da 13 miliardi di euro (14,5 miliardi di dollari) più interessi, cioè l’ammontare di quanto la Commissione esige che l’Irlanda recuperi dall’azienda, pagherebbe per tutto il bilancio sanitario annuale del paese e intaccherebbe appena la montagna di 230 miliardi di liquidità di Apple”. L’Economist però avverte che è necessario essere cauti, in quanto, “nello scontrarsi con Apple, la Commissione sta creando insicurezza tra le aziende, minando la sovranità degli stati membri e rompendo i ranghi con gli Stati Uniti, paese natio del colosso tecnologico, in un momento in cui le grandi economie dovrebbero coordinare le proprie regole contro l’elusione fiscale”.

 

L’iniziativa della Commissione contro l’elusione fiscale è lodevole negli intenti, spiega il settimanale economica, tuttavia la si sta portando avanti in maniera controproducente, in quanto si “afferma che l’accordo di Apple con l’Irlanda, che ha prodotto un livello di tassazione a singola cifra, fosse equivalente a un trattamento preferenziale e quindi in violazione alle regole europee sugli aiuti di stato. Per sollevare il caso è stato necessario un po’ di pensiero creativo. La Commissione ha fatto affidamento a una interpretazione larga del principio di trasferimento dei prezzi, che regola il prezzo a cui le unità di una multinazionale possono commerciare tra di loro”. L’Economist quindi spiega come, avendo definito in modo molto stretto le regole, la Commissione “ha applicato il suo nuovo modo di pensare a accordi firmati 25 anni fa. A quel tempo Apple non aveva motivo di immaginare che un giorno sarebbe incorsa in sanzioni per le regole sugli aiuti di stato. L’azienda aveva stretto un accordo con un governo sovrano, che tuttora lo difende. Anche se il piano avesse dato adito a dubbi di legalità all’epoca, sarebbe altrettanto sensato punire la nazione che ha offerto l’accordo quanto l’azienda che lo ha firmato”.

 

Questo attivismo della Commissione, e la parte relativa alla ridefinizione di accordi stipulati con gli stati membri, ha allarmato sia le società estere sia i governi europei, tra cui quello irlandese, che “sta prendendo in esame la possibilità di un ricorso, cosa che Apple ha già deciso di fare”. Il rischio che la Commissione corre usando la mano pesante è di minare i risultati ottenuti con il negoziato.

 

“L’Irlanda e altri stati europei come il Lussemburgo e i Paesi Bassi hanno già ceduto alle richieste di rimuovere molte delle agevolazioni nel passato. Nello scorso anno l’Ocse è stato in prima fila nel preparare linee-guida per contrastare l’elusione fiscale. Affrontando il problema da sola, la Commissione rischia di creare conflitto, non collaborazione. Diversi politici americani sono stati rapidi a dipingere la sentenza come una retata del fisco: in un libro bianco pubblicato prima del pronunciamento della Commissione, il Tesoro degli Stati Uniti ha fatto intendere di essere pronto a rappresaglie”.

 

L’Economist, a ogni modo, vede anche la possibilità di un risvolto positivo nella vicenda, in quanto, “i soldi che Apple e altre compagnie americane pagheranno ai governi europei non torneranno nei forzieri del Dipartimento del Tesoro. La realizzazione che i politici europei ci guadagnino a loro spesa potrebbe indurre i politici americani a riformare il proprio complesso codice fiscale”. Allo stato delle cose infatti, “molte aziende sono portate all’elusione dalla combinazione di un’aliquota alta (35 per cento), un sistema di tassazione sui profitti in tutto il mondo e una clausola che permette loro di posticipare i pagamenti fino a che i profitti non sono rimpatriati (con il risultato che ci sono più di 2.000 miliardi di liquidità delle aziende all’estero). Tagliando le tasse, tassando solo i profitti realizzati in America, e mettendo fine alle dilazioni incoraggerebbe le aziende a riportare i soldi a casa, riducendo di parecchio gli schemi che irritano così tante persone in Europa”. Nonostante l’ottimismo, l’Economist non nasconde che “purtroppo sembra difficile. La Commissione ha lanciato una granata, e il risultato potrebbe essere una guerra fiscale”.

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