Vietnam, Fiera dell'export di Hanoi-Zejiang (foto LaPresse)

Perché i paesi si rivoluzionano con le riforme liberali. Il caso Vietnam

Maurizio Stefanini
Le lezioni ai neo protezionisti dai governi che stanno riuscendo ad abbassare le tasse e ad aprirsi al mercato.

E’ un paese governato da un partito unico comunista, ma dove l’investimento diretto straniero ha raggiunto nella prima metà del 2016 un record da 11,3 miliardi di dollari, con una crescita del 105 per cento. E dagli anni ’90 la crescita del suo pil pro capite è stata costante ad almeno il 6 per cento l’anno.

 

Gli analisti individuano molti fattori in questa crescita: una posizione geografica che lo rende il paese più adatto ad accogliere le produzioni per cui la manodopera cinese diventa troppo cara; la stabilità dei suoi piani quinquennali; una manodopera eccezionalmente preparata grazie a una investimento in Educazione che è pari al 6,3 per cento del pil. Ma il segreto più importante è nell’apertura economica, con una quantità di accordi commerciali che hanno fatto del Vietnam il principale beneficiario dell’accordo a 12 Trans-Pacific Partnership (Tpp), in cui sono dentro anche Usa e Giappone. Un altro accordo sta per essere fatto anche con l’Ue, e da dicembre ne inizierà a funzionare anche un terzo con la Corea del Sud. Gli handicap si trovano invece in un settore bancario poco affidabile e in un settore privato la cui produttività è ancora molto bassa. Ma il ministero della Pianificazione e dell’Investimento sta appunto elaborando con la Banca Mondiale un piano “Vietnam 2035” che punta a rendere più competitive sia le imprese pubbliche che quelle private.

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