La Google car a Parigi. A Viva Technology si discutono le ultime innovazioni Hi-tech (foto LaPresse)

The banking job

Alberto Brambilla
I manager delle multinazionali della tecnologia e di internet non sono diventati soltanto i “cocchi” degli happening della finanza internazionale, come il World economic forum di Davos. Ma riscontrano la fiducia degli investitori con crescente entusiasmo. Perché l’ascesa dei colossi “tech” non può lasciare indifferenti né la Fed e né le “banche universali”.

Roma. La rilevanza del settore tecnologico nei servizi commerciali, per il pubblico e per la finanza darà qualche grattacapo ai banchieri centrali e ai manager bancari. Alla straordinaria performance dei colossi “tech” americani che prosegue da cinque anni non è detto che corrisponderà un sostanziale aumento dei posti di lavoro, che la Federal Reserve ha il mandato di massimizzare, mentre l’industria e le società commerciali, piegate dalla congiuntura, collezionano risultati più deboli e altalenanti nel periodo. Facebook è il “nuovo migliore amico” di Wall Street, titolava ieri il Financial Times. Al punto che David Wehner, chief executive officer del social network di Mark Zuckerberg, ha inteso smorzare l’euforia degli investitori di fronte a ricavi che nel secondo trimestre di quest’anno sono quintuplicati (a 6,4 miliardi di dollari) rispetto ai valori riportati alla quotazione in Borsa del 2012. Il tasso di crescita record (59 per cento) è riconducibile ai guadagni dalla pubblicità sui telefoni mobili con oltre 2 miliardi di ricerche quotidiane su Facebook. Amazon, leader nel settore del cloud computing (stoccaggio e gestione di dati) e colosso dell’e-commerce, ha visto crescere l’utile netto di quasi nove volte in un anno (da 92 milioni a 857) grazie alla crescita delle vendite e l’espansione in nuovi mercati, come l’India, e la promessa di nuovi servizi, le consegne coi droni. Jeff Bezos grazie ai forti guadagni di Amazon che ha fondato è diventato il terzo uomo più ricco del pianeta, secondo la classifica di Forbes, dietro Bill Gates (Microsoft) e Amancio Ortega (Zara) con 65,3 miliardi  di dollari (49,5 in euro) superando il magnate Warren Buffett, padrone della conglomerata Berkshire Hathaway che ha quote in Kraft-Heinz, Coca-Cola e nelle imponenti ferrovie americane Bnsf Railway. E’ sintomo di un cambio di paradigma.

 

I manager delle multinazionali della tecnologia e di internet non sono diventati soltanto i “cocchi” degli happening della finanza internazionale, come il World economic forum di Davos. Ma riscontrano la fiducia degli investitori con crescente entusiasmo. I “nuovi” businessman arrivati hanno il vantaggio relativo di esplorare una terra incognita. I “vecchi” grandi dell’epoca dei pc e dell’alba di internet come Miscrosft, Hp, Intel stanno portando avanti una riorganizzazione complessiva del business – i tre insieme stanno tagliando oltre 50 mila posti di lavoro – stringendo alleanze con le industrie di altri settori dal farmaceutico al trasporto aereo ai servizi finanziari. Le innovazioni delle imprese tecnologiche e le ristrutturazioni hanno comportato tagli di impieghi perché in generale necessitano di meno manodopera rispetto alle industrie tradizionali. Airbnb per esempio può produrre servizi alberghieri e guadagni per chi affitta i propri spazi abitativi senza bisogno di personale. Sono cambiamenti ai quali la Federal reserve, che ha il doppio mandato di promuovere la stabilità dei prezzi e la massimizzazione dell’occupazione, dovrà guardare nel decidere se proseguire una timida stretta monetaria iniziata nel 2015 con un graduale aumento dei tassi d’interesse che procede a singhiozzo anche se arrivano segnali incoraggianti dal mercato del lavoro americano.

 

La crescita dei colossi del web avrà un sensibile impatto anche sull’industria bancaria tradizionale nel corso del passaggio epocale che sta rivoluzionando il modo in cui ciascuno usa i servizi bancari – un processo ben spiegato da Roberto Ferrari, direttore generale di CheBanca!, banca digitale e retail di Mediobanca, in “L’èra del Fintech” (Franco Angeli). I servizi di pagamento come PayPal (tra i fondatori c’è Elon Musk di Tesla) diventano familiari per compiere transazioni, le giovani piattaforme di prestito alla persona cercano di accreditarsi sul mercato, la tecnologia Blockchain che promette di ridurre i costi delle transazioni le banche modificando il modello di business. Il motto enunciato dal 1994 di Bill Gates “il mondo ha bisogno di banking non di banche” oggi è insomma un realtà che avrà un impatto sulla forza lavoro. La disoccupazione italiana resta ostinatamente sopra gli undici punti ma quote ulteriori di persone rimaste senza impiego o in cerca di un nuovo lavoro si aggiungeranno nei prossimi mesi e anni mentre procede il consolidamento del settore bancario tra fusioni e tagli per abbattere i costi – il sindacato Fabi prevede fino a 23 mila esuberi entro il 2018. La rivoluzione della finanza digitale, per quanto lenta,  non sarà un fattore marginale neanche qui.  

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.