Pier Carlo Padoan all'assemblea Abi (foto LaPresse)

Cosa dicono gli economisti tedeschi ortodossi del caos bancario

Giovanni Boggero
In Germania cresce l’apprensione per la sorte del Monte dei Paschi di Siena e di altre banche italiane, finite nella tenaglia dei crediti in sofferenza e ora costrette a pesanti ricapitalizzazioni.

Heidelberg. In Germania cresce l’apprensione per la sorte del Monte dei Paschi di Siena e di altre banche italiane, finite nella tenaglia dei crediti in sofferenza e ora costrette a pesanti ricapitalizzazioni. Applicando fino in fondo o no le norme europee che prevedono il coinvolgimento dei privati alle perdite degli istituti di credito (bail-in)? Questo il dilemma. Ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, al termine dell’Ecofin ha ribadito che il governo italiano è “molto attento a salvaguardare i risparmiatori”. Stando alla nuova direttiva europea sulla gestione delle crisi bancarie (Brrd), l’intervento pubblico è lecito soltanto dopo che si sia battuto cassa presso azionisti, obbligazionisti e correntisti, ricorda al Foglio il professor Jens-Hinrich Binder, ordinario di Diritto privato e commerciale dell’Università di Tubinga. Insomma, le regole europee parlano chiaro. I contribuenti non possono essere il primo anello della catena di salvataggio, ma possono essere al massimo l’ultimo. Un ammorbidimento del quadro normativo in questo contesto avrebbe effetti non trascurabili sulla credibilità dell’architettura finanziaria europea appena riformata.

 

“Siamo di fronte a un dilemma. A seconda di come verranno condotte le trattative nei prossimi giorni, l’Unione bancaria potrà fallire proprio per via della crisi italiana”, dice al Foglio Hans-Peter Burghof, docente dell’Università di Hohenheim, tra i massimi esperti tedeschi in materia bancaria. “Da un lato – dice Burghof – applicare le regole della direttiva sulle risoluzioni bancarie non ha senso, se ciò determina un collasso dell’economia creditizia italiana, la quale non è già ora in buona salute. D’altro canto, la direttiva in questione è posta a fondamento dell’Unione bancaria e derogarvi sarebbe l’ennesima conferma che le regole che gli stati si danno non vengono poi rispettate”. Non molto diverse le considerazioni fatte dal presidente dei consiglieri economici dell’esecutivo tedesco, Christoph Schmidt al quotidiano Rheinische Post, secondo il quale in questa fase non si può prescindere dal bail-in. “Con il senno di poi – dice ancora Burghof – si potrebbe dire che approvare la direttiva in tempi così stretti è stato un errore di costruzione. L’Unione bancaria è stata partorita troppo velocemente senza dare alle istituzioni Ue gli strumenti necessari per governare direttamente crisi come questa”.

 

Padoan ieri ha detto che qualsiasi intervento a sostegno degli istituti italiani “sarà completamente all’interno delle regole”, poi ha aggiunto che “anche in altri sistemi bancari, considerati come più solidi, e forse erroneamente, ci sono elementi di criticità soprattutto in una fase in cui la crescita globale rallenta un po’ dappertutto”. “Negli anni successivi alla crisi – replica indirettamente Burghof – le banche italiane hanno pagato agli azionisti dividendi molto alti sul totale degli utili, molto più delle banche tedesche. Peggio ancora hanno fatto le banche spagnole e francesi. In questo modo, non hanno formato cuscinetti sufficientemente resistenti per affrontare future crisi. Al contrario hanno continuato a finanziare lo stato italiano e i suoi enti territoriali, disinteressandosi della sorte delle imprese. Di questa situazione è corresponsabile anche l’attuale presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, che tra il 2006 e il 2011 è stato presidente di Bankitalia”. Il timore di alcuni osservatori tedeschi è che gli obbligazionisti non copriranno le perdite derivanti dalle svalutazioni dei crediti, gli azionisti non saranno chiamati a fare la loro parte, ossia a ricapitalizzare le banche in crisi e le strutture di controllo delle banche italiane resteranno intatte, il tutto con il benestare dell’Autorità di vigilanza, “complice dello status quo in questi anni”, attacca Burghof. Perciò in Germania c’è chi auspica che il bail-in possa essere applicato nonostante tutti i rischi politici del caso e che le banche italiane possano essere ricapitalizzate senza intervento pubblico. “Continuare a pompare denaro pubblico, come proposto domenica scorsa dal capo economista di Deutsche Bank, David Folkerts-Landau, non aiuta a risolvere i problemi strutturali delle banche italiane – dice Burghof – Lo abbiamo visto in Grecia, dove l’Europa è intervenuta già a ripetizione senza risultato. E’ difficile che i cittadini europei possano accettarlo di nuovo”.

 

Anche un intervento diretto del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), o Fondo salva stati, del quale è presidente il tedesco Klaus Regling, è subordinato a una previa partecipazione dei privati alle perdite derivanti dalle svalutazioni dei crediti in sofferenza. Al proposito, il professor Binder, dell’Università di Tubinga, si dice possibilista, anche se una ricapitalizzazione per mano europea sarebbe limitata, dato che il Mes ha stanziato fino a 60 miliardi e “dovrebbe comunque essere legata al rispetto di alcune condizioni da parte italiana, tra cui una ristrutturazione complessiva del sistema bancario”. Tale ristrutturazione verrebbe definita dall’Italia in un memorandum di intesa con il Mes sul cui rispetto vigilerebbe la Bce e potrebbe includere “una riforma del processo fallimentare per accelerare i tempi del recupero crediti e una riforma della governance bancaria attraverso fusioni tra istituti e limiti all’intervento della politica tramite le fondazioni bancarie”, conclude Binder. A favore del ricorso (condizionato) al Fondo salva stati si sono schierati l’economista Alberto Bisin su Repubblica e Alberto Mingardi sulla Stampa, e Francesco Giavazzi e Alberto Alesina, sul Corriere della Sera, non  hanno chiuso del tutto a tale ipotesi.