Milano, sede Unicredit (foto LaPresse)

Unicredit, habemus Mustier

Alberto Brambilla
Perché il “conclave” della banca ha scelto Jean Pierre Mustier come ad. - di Alberto Brambilla

Roma. Il “conclave” più lungo nella storia della finanza italiana si è chiuso giovedì a mezzogiorno con la designazione al vertice di Unicredit di Jean-Pierre Mustier, dal 2011 fino al 2014 a capo del corporate & investment Banking della banca italiana. A 38 giorni dalle dimissioni di Federico Ghizzoni (in carica per i sei anni della crisi dell’eurodebito), i maggiorenti di Unicredit, con la consulenza dei “cacciatori di teste” di Egon Zehnder, hanno scelto un “papa francese”. Mustier è stato contrastato fino all’ultimo in sede di comitato nomine per la sua scarsa esperienza in una banca commerciale. Nativo del Puy-de-Dôme, classe 1961, papà medico, mamma farmacista, moglie di origini cinesi, due figli, Mustier è diplomato all’École des mines e all’École polytechnique, dove venne pescato da Daniel Bouton, all’epoca pdg di Société Générale (SocGen).  SocGen, terza banca francese, è dove Mustier approdò nel 1987 – all’epoca la banca stava costruendo una piattaforma globale per operazioni di trading – e dove poi ha guidato il settore corporate & investment banking. Dal 2015 fino a giovedì lavorava alla Tikehau Capital, società parigina specializzata nella gestione di strumenti di debito. L’accoglienza della Borsa è stata positiva: i mercati non avrebbero tollerato uno stallo prolungato. L’unico istituto italiano d’importanza sistemica non poteva restare senza leader sotto i cieli della Brexit  (“non succede da nessun’altra parte del mondo” aveva tuonato Alessandro Penati, capo del fondo Atlante).

 

Mustier, un ex paracadutista militare, ha iniziato la sua carriera nelle sale operative anziché alle dipendenze dello stato come sovente accade in Francia. La sua vocazione da manager dedito al trading – un suo concorrente disse che operava come se fosse un ibrido tra un fondo speculativo e un gestore di patrimoni – è stata, secondo indiscrezioni, una delle controindicazioni alla sua nomina, unita alla “macchia” di essere stato il boss di Jérôme Kerviel, trader che fece perdere a SocGen 4,9 miliardi di euro, e ad avere ricevuto una multa per insider trading dall’Autorità per i mercati francesi per fatti risalenti al 2007. Lui ha sempre negato. I supposti limiti del curriculum di Mustier in un momento critico per l’Europa e per Unicredit si trasformano in altrettanti atout. Il passaporto francese – è il terzo manager transalpino a occupare in poco tempo posizioni apicali nella finanza italiana dopo Philippe Donnet (ad di Generali) e Vincent Bolloré (azionista pesante di Mediobanca e di Telecom Italia) – è considerato una garanzia dagli osservatori internazionali che invocavano l’arrivo di un “papa straniero”.

 

Quest’ultima caratteristica è sufficiente a rendere Mustier meno sensibile alle pressioni che si scateneranno al momento dei tagli o della non meno dolorosa revisione del portafoglio impieghi. La formazione ingegneristica e l’esperienza pregressa nell’avanguardia dell’informatica finanziaria possono essere provvidenziali in un’epoca di trasformazione dell’industria bancaria, tra servizi online e nuove tecnologie come il Blockchain che permettono di ridurre i costi fissi. Avere già operato in Unicredit per tre anni significa conoscere i nodi dell’istituto che in un anno vissuto pericolosamente – vedi il ritiro della garanzia all’aumento di capitale di Popolare di Vicenza –  è arrivato a perdere in Borsa il 40 per cento anche a causa dell’incertezza gestionale. Soprattutto a favore della scelta del banchiere francese gioca la fiducia guadagnata presso la grande finanza, quella che dovrà con tutta probabilità contribuire alla necessaria ricapitalizzazione per 5-7 miliardi di euro così indigesta per le fondazioni azioniste italiane.

 

Unicredit deve attenersi a requisiti regolamentari più stringenti delle banche di stazza inferiore in quanto “istituto finanziario di interesse sistemico”, status che condivide anche con SocGen. Francia e Italia avevano chiesto alla Commissione europea di ammorbidire i requisiti per le banche “troppo grandi per fallire”. Liberarsi di quest’etichetta pesante, assegnata dal Financial stability board, non è facile. General Electric Capital, società di servizi finanziari dell’omonima multinazionale americana, l’ha fatto cedendo asset. Anche Unicredit è in predicato di recuperare capitale vendendo asset (la società di brokeraggio online Fineco – attività probabilmente gradita a Mustier –, Bank Pekao, seconda banca polacca, e Yapi Kredi, quarta banca turca). Ma non è detto che Mustier seguirà l’esempio americano o che ciò basti.

 

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.