Banca d'Italia (foto LaPresse)

Il gran concerto (stonato) del bail-out

Redazione
Se “Tarp” italiano dev’essere, ora Bankitalia deve esercitare pressione.

Un “tarp italiano”, cioè fondi semi-pubblici per mettere definitivamente al sicuro il sistema del credito, a imitazione di quanto fatto negli Stati Uniti nel 2008? Possibile, compatibilmente con le regole europee; e magari probabile vista l’insistenza con la quale Mario Draghi, uno che ha sempre visto giusto, chiede che si risolva una volta per tutte il problema bancario (non solo italiano), vista la volontà del governo, e viste infine le voci a favore del mondo accademico. Ultimo Luigi Zingales sul Sole 24 Ore, che invoca appunto un intervento simile al Troubled asset relief program, il Tarp, congegnato allo scadere dell’Amministrazione Bush ma attuato da Timothy Geithner, capo della Federal reserve di New York e poi segretario al Tesoro di Barack Obama. Il che ci porta già al ruolo più propulsivo che dovrebbe assumere la Banca d’Italia, finora apparsa un po’ impegnata nel gioco di rimessa.

 

Come funzionò il Tarp americano? Il 3 ottobre 2008 il Congresso approvò un piano di prestiti e garanzie federali, alle quali si affiancarono privati come Warren Buffett, che ripulirono dai titoli tossici le grandi banche per impedire l’effetto domino post Lehman Brothers. Un film, “Too big to fail”, raccontò con efficacia come Geithner e il segretario al Tesoro uscente Henry Paulson convocarono i banchieri nella sede newyorchese della Fed imponendo loro di accettare gli aiuti, quasi commissariandoli. Nei primi due anni il Tarp impegnò 238 miliardi di dollari, ma già nel 2013 gli aiuti erano stati al 99 per cento restituiti con un guadagno per i contribuenti di 24 miliardi. Il 10 per cento: nonostante la retorica dell’Occupy Wall Street non fu proprio un regalo, ma un prestito contro interessi condizionato in modo stringente. Ieri la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha ripetuto rivolgendosi ai lamenti italiani che “le regole non si cambiano ogni due anni”: l’Italia non può più usare aiuti di stato, come invece hanno fatto Germania, Francia e Gran Bretagna; né fare prestiti convertibili in azioni come per il Monte dei Paschi (anche lì il tasso era del 9 per cento e crescente negli anni, alla faccia dei “favori agli amici”); può però attivare altri strumenti di garanzia. Ma occorre anche il decisionismo di Banca d’Italia: Ignazio Visco non sarà Billy Crudup, il duro che interpretò Geithner. Ma che fine ha fatto la “moral suasion” di Via Nazionale?