Palazzo Chigi, Renzi riceve Netanyahu

Gli interessi energetici dietro la riconciliazione tra Israele e Turchia

Gabriele Moccia
L'intesa corre  sul filo della partita energetica per il nuovo hub mondiale del gas: quello del Mediterraneo orientale

Sei lunghi anni. Finisce la lunga guerra fredda che ha caratterizzato i rapporti tra Israele e Turchia. Per bocca dello stesso primo ministro israelino, Benjamin Netanyahu, l'accordo di riconciliazione tra Tel Aviv e Ankara "avrà conseguenze immense per l'economia dello Stato ebraico".

 

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu da Roma – dove nei giorni scorsi ha incontrato il Segretario di stato americano John Kerry e il presidente del Consiglio Matteo Renzi – ha detto che l’accordo porterà “stabilità” nel medioriente tormentato. La sua controparte turca, Binali Yildirim, ha fatto un simultaneo e speculare annuncio da Ankara. La firma ufficiale è attesa per martedì.

 

Un'intesa che corre soprattutto sul filo della partita energetica per la costituzione di un nuovo hub mondiale: quello del Mediterraneo orientale. Il bacino levantino, così come lo chiamano i geologi e i cacciatori di pozzi, è ricco di risorse di gas, un crogiuolo di promettenti giacimenti che incrocia gli interessi di stati, grandi gruppi dell'energia e compagnie petrolifere statali. Da qualche tempo, Israele vive con crescente preoccupazione il forte protagonismo egiziano su questo versante: la scoperta e lo sfruttamento del super giacimento di gas dell'area – quello di Zohr – e l'inizio di negoziati commerciali tra il Cairo e il regime iraniano per lo sfruttamento delle infrastrutture egiziane  – l'oleodotto Sumed in particolare – per vendere il petrolio degli ayatollah nell'Unione europea attraverso il Mar mediterraneo.

 

Tutti tasselli che prefigurano una fatica energetica israeliana. Sembra avere avuto finora relativo impatto l'attività diplomatica messa in campo da Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni – società che detiene il giacimento di Zohr – per rassicurare il governo di Tel Aviv ed enfatizzare i vantaggi di una partnership con l'Egitto. Come ha ammesso lo stesso Netanyahu, la scoperta di Zohr è stata una vera debacle strategica per Israele, tanto da giustificare una crisi di governo – emersa con il siluramento dell'ex ministro dell'economia Aryeh Deri dello scorso novembre – e l'accelerazione dei tentativi di riavvicinamento con Ankara. Un'unione di interessi più che politica.

 

Anche la Turchia vive in un clima d'instabilità degli approvvigionamenti a seguito degli attriti con la Russia – uno dei principali fornitori di gas del paese – che hanno portato alla sospensione del progetto di gasdotto del Turkish Stream. Il presidente turco Erdogan non può permettersi un rallentamento della crescita produttiva per colpa di una crisi energetica ed è per questo motivo che già lo scorso gennaio è entrato nella partita per la fornitura del gas israeliano anche un partner privato turco, la società Zorlu Enerji che insieme a un gruppo israeliano (Edeltech), ha firmato un contratto di 1,3 miliardi di dollari con la Noble per la fornitura di 6 miliardi di metri cubi di gas provenienti dai giacimenti di Tamar e Leviatano.

 

Artefice dello sbocco turco è stato l'attivissimo nuovo ministro dell'energia israeliano, Yuval Steinitz, che a marzo, come ha riferito la Reuters, ha incontrato Erdogan in via riservata per ottenere il via libera allo schema di accordo di riconciliazione e al progetto energetico che vi sta dietro. In cambio del risarcimento da 20 milioni di dollari circa che Tel Aviv concederà alle famiglie degli attivisti della Mavi Marmara – la nave della Freedom Flottilla attaccata dalle forze navali israeliane nel maggio 2010 – la Turchia lavorerà ad un progetto di gasdotto per collegare i giacimenti israeliani alla rete di tubi che scorre sul proprio suolo e che è collegato con l'Europa (quello che Bruxelles chiama il Corridoio sud dell'energia).

 

Se Steinitz ha già definito con le controparti il consorzio delle quindici compagnie turche disponibili alla costruzione del gasdotto, l'amministratore delegato della Turcas Petrol – uno dei gruppi energetici coinvolti – ha già fissato la data entro cui il gas israeliano potrà sgorgare nel vecchio continente: 2021.

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