Mario Draghi (foto LaPresse)

Bazooka anti deficit

Marco Valerio Lo Prete
La Bce guidata da Draghi oltre a placare i mercati e a spingere la crescita, ha limato i deficit. E questo agita Berlino.

Roma. “La Banca centrale europea guarisce i bilanci pubblici”. Così la Frankfurter Allgemeine Zeitung, quotidiano conservatore tedesco, ha titolato la sua “exklusiv” su un rapporto curato da Standard & Poor’s e rimasto finora riservato. L’agenzia di rating americana ha stimato a che punto sarebbe stato oggi il risanamento delle finanze pubbliche dei paesi dell’Eurozona nel caso di un mancato intervento espansivo della Banca centrale europea (Bce). Degli effetti della politica monetaria non convenzionale messa in campo da Mario Draghi, e in particolare del Quantitative easing, o allentamento quantitativo, si è detto quasi tutto. E’ evidente per esempio che abbia contribuito in forma decisiva a sopire l’impennata dei rendimenti dei titoli sovrani, ristabilendo – per il momento – la convinzione che la moneta unica sia destinata a durare, e non a perdere pezzi alla prima occasione. E’ noto che la stessa politica monetaria espansiva abbia contribuito, specialmente deprezzando il cambio dell’euro con le altre valute, a sostenere la ripresa. La Banca d’Italia, nella sua relazione annuale, ha calcolato che “l’effetto complessivo delle misure di politica monetaria, considerando tutte quelle adottate dal Consiglio direttivo del 2014, è valutabile (…) per ciascun anno del biennio 2015-’16 in circa un punto percentuale di maggior crescita del pil e in una maggiore inflazione di oltre mezzo punto”.

 

A Palazzo Chigi non piace sentirselo dire, ma finora – perlomeno in termini statistici – Draghi avrebbe fatto più per la crescita italiana di quanto non abbia fatto Renzi. Adesso Standard & Poor’s tenta di quantificare quanto le finanze pubbliche europee avrebbero risentito di un mancato attivismo della Bce. La stima dell’agenzia di rating americana è un po’ più “dinamica” del mero calcolo sul risparmio garantito dalla Bce agli stati europei in termini di pagamento degli interessi sul debito sovrano. Su quest’ultimo fronte, infatti, basterebbe dire che l’Italia spendeva 68,8 miliardi di euro in interessi sul debito corrisposti ogni anno ai detentori di bond sovrani; poi questa voce di spesa si è impennata così come i rendimenti e lo spread rispetto al bund tedesco nel 2011 (76,4 miliardi) e nel 2012 (83,6 miliardi), tornando a calare nel 2013 (77,6 miliardi), nel 2014 (74,3) e infine raggiungendo i livelli pre-crisi lo scorso anno (68,4 miliardi). Così, nel bilancio pubblico, è stato creato un discreto spazio di manovra per i governi Letta e Renzi.   

 

Adesso Standard & Poor’s, ponendo alla base dei suoi calcoli la media del tasso d’interesse ufficiale fissato dalla Bce tra il 2001 e il 2008, spiega cosa sarebbe successo se questo non fosse stato successivamente azzerato da Francoforte. Il rapporto tra deficit pubblico e pil sarebbe oggi al 5,5 per cento invece che al 3,5 per cento; lo stesso rapporto, fondamentale ai fini del rispetto dei Trattati Ue, avrebbe raggiunto in Spagna il 7 per cento (invece del 5 per cento attuale) e il 4,5 per cento in Italia (invece del 2,5 di oggi). Chiosa Werner Mussler, inviato a Bruxelles per la Faz: le quattro maggiori economie subito dopo la Germania avrebbero tutte fatto segnare un deficit pubblico superiore al 3 per cento fissato da Maastricht. Se Draghi e colleghi avessero incrociato le braccia, figurarsi cosa sarebbe stato del Fiscal compact, con il suo obiettivo del pareggio di bilancio nel medio termine, già oggi almeno in parte ignorato. A questo proposito, Moritz Kraemer, l’autore della ricerca di S&P’s, si dice anche contrario alla nozione di deficit o pareggio “strutturale”, cioè depurato dagli effetti temporanei del ciclo economico, perché troppo aleatorio e calcolabile con precisione solo ex post.

 

Lo studio di Standard & Poor’s conferma alcuni dei timori più in voga nella Banca centrale tedesca: il risanamento dei conti pubblici in Europa è meno radicale di quanto potrebbe apparire. Allo stesso tempo offre un’idea – seppure approssimativa – di cosa accadrebbe in caso di un rialzo dei tassi deciso dalla Bce, a mo’ di allarmante promemoria per paesi come il nostro. Nel caso non fosse bastata l’Istat che ieri ha detto: “L’indicatore composito anticipato dell’economia italiana ha segnato un’ulteriore discesa, suggerendo il rallentamento nel ritmo di crescita dell’attività economica nel breve termine”.