L'ayatollah Jannati

Bloccati in Iran

Gabriele Moccia
Perché l'elezione di Jannati a capo dell'Assemblea degli esperti aggrava la paralisi economica iraniana

Roma. In occasione della storica visita di stato in Iran dello scorso aprile, il premier italiano Matteo Renzi ha sancito una nuova era dei rapporti economici tra il nostro Paese e la Repubblica Islamica, legata alla fine delle sanzioni voluta dagli accordi sul nucleare di Vienna. Ma, aldilà dell'enfasi diplomatica, peraltro ricercata anche da altri paesi (come la Spagna, o la Francia) interessati a rimettere piede a Teheran, tra l'Europa e il regime degli ayatollah stenta a decollare quella fase di liberalizzazioni e apertura dei mercati che in tanti avevano auspicato. A pesare è il clima di incertezza legato alla fase di implementazione delle sanzioni che sta portando molti investitori ad abbandonare concreti piani di penetrazione economica.

 

Secondo un recente sondaggio dello studio legale internazionale Clyde & Co, su un campione di 100 top manager intervistati, più della metà (58), non hanno piena chiarezza su quali precauzioni intraprendere per evitare di incorrere in sanzioni in caso di investimenti nell'economia iraniana. Ad esempio, una delle riforme più attese, quella legata al sistema bancario iraniano e il suo rientro nel circuito delle transazioni internazionali (lo swift) è ancora ferma al palo. Anche sul versante più promettente e redditizio, quello energetico, è ancora bloccata la riforma dei contratti nel settore petrolifero e gas nella logica dei Production sharing agreement (Psa), che sono ormai standard nel resto del mercato internazionale del greggio. Le grandi compagnie tradizionalmente presenti nella Repubblica Islamica - come l'Eni o la francese Total - hanno chiesto a più riprese la rinegoziazione dei contratti, ma il potente ministro iraniano per l'energia, Bijan Zanganeh, non è ancora riuscito ad imporre la sua linea su una parte dello schieramento parlamentare e sulla tecnocrazia locale, spesso restia al cambiamento e alla penetrazione occidentale.

 

Ma non ci sono solo i dubbi relativi alla tenuta dell'accordo sul nucleare. La nomina dell'ayatollah Jannati a capo dell'Assemblea degli Esperti ha rafforzato l'ala conservatrice che punta ad arginare le spinte riformiste. Tassello principale è il mantenimento del controllo sull'economia che passa dalle aziende controllate dai Pasdaran. Il corpo delle guardie della rivoluzione, attraverso la sua holding, Khatam Al Anbia, vede come una minaccia il tentativo di apertura e liberalizzazione dell'economia iraniana voluto dal presidente Rohani dopo Vienna. Per questo negli ultimi mesi è cresciuto lo scontro in alcuni settori cruciali che vede coinvolte anche aziende italiane. Uno di questi è quello delle infrastrutture e dei trasporti. La scorsa estate il governo - con un ordine confindenziale - ha bloccato i contratti che la Khatam aveva già stipulato per la costruzione della linea dell'alta velocità tra Teheran e la città santa di Qom (valore dell'opera circa 2,7 miliardi), riorientando le scelte per il progetto sul gruppo Ferrovie dello Stato, che lo scorso marzo siglato un accordo per fornire assistenza tecnica e fare da advisor della compagnia nazionale ferroviaria della Repubblica Islamica, la Iran Railways.

 

Allo stesso modo, la sud coreana Daewoo avrebbe ottenuto un via libera preliminare per la costruzione della linea che collegherà Teheran al Mar Caspio, sulla quale Khatam si era in precedenza impegnata. Il comandante dei Pasdaran, Ebadallah Abdollahi, non ha gradito lo smacco e, come riferito dai media locali, avrebbe scritto una lettera infuocata al braccio destro di Rohani, il vicepresidente Eshaq Jahangir, accusando il governo di un attacco esclusivamente politico e minacciando di bloccare la costruzione della ferrovia. Abdollahi, e altri esponenti conservatori, hanno ripetutamente affermato alla stampa che l'Iran "non ha bisogno di ingegneri stranieri".

 

Un'altra importante figura dei Pasdaran, Mohammad Ali Jafari, ha detto ad un agenzia locale "Le guardie della rivoluzione hanno ancora un grande potenziale nel settore delle costruzioni, ma sfortunatamente il governo non ha accolto i nostri piani e le nostre attività". Non lo ha fatto nel settore delle ferrovie, non lo sta facendo nel settore della produzione energetica, dove come nel caso dell'alta velocità, sono in campo altrettante importanti società italiane. Khatam Al Anbia è stata progressivamente allontanata dai piani di sviluppo del mega giacimento di gas South Pars, così come dai lavori di costruzione del gasdotto tra l'isola petrolifera di Qeshm e il porto di Bandar Abbas per fare spazio al riavvicinamento con grandi oil companies internazionali come Bp o Shell, che presto riapriranno i loro uffici a Teheran. Ma il previsto rinascimento energetico iraniano (con una produzione giornaliera di 3,6 milioni di barili, il livello più alto dal 2011 l'Iran punta a scalzare all'Arabia Saudita il primato di maggior produttore di greggio al mondo) è un occasione troppo ghiotta da lasciarsi sfuggire, anche per i guardiani della rivoluzione. 

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