Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Federalismo tradito

Governatori e sindaci sfidano Renzi a colpi di assistenzialismo spinto

Renzo Rosati
Da De Magistris a Emiliano: gli anti governo (non solo dem) promettono prebende, tutte a spese di Roma – di Renzo Rosati

Roma. “Sarebbe ideale ridurre le fasce Irpef”. E abolire il bollo auto aumentando le accise. Di certo il governo è al lavoro sull’“Ape”, strumento per la pensione anticipata da inserire in legge di Stabilità. E questo è tutto il Fisco che c’è stato ieri nell’appuntamento online #matteorisponde del presidente del Consiglio. Matteo Renzi è tutto sommato prudente, si dovrà confrontare con i vincoli di bilancio. Oltre che con un altro sport diffuso in campagna elettorale che consiste nel promettere pasti gratis in città o in regione a spese di tutti i contribuenti (nazionali). Ora questa seconda faccenda si fonde con la guerra a sinistra di Renzi, in una deriva assistenzialista di un federalismo virtuoso nelle intenzioni ma virato verso l’irresponsabilità, dopo la devoluzione di poteri dell’Ulivo 2001 e con il consociativismo municipale degli ultimi anni. I protagonisti sono soprattutto Luigi de Magistris, sindaco di Napoli della “ggente”, e Michele Emiliano, governatore No triv della Puglia e primo oppositore di Renzi tra i democratici. Ma la tentazione contagia il presidente della Toscana, Enrico Rossi, che mira alla segreteria democratica, e fuori del Pd le due candidate a sindaco di Roma Virginia Raggi e Giorgia Meloni. A portarsi più avanti è ovviamente de Magistris. L’ex pm vuole trattenere l’intero gettito fiscale dovuto alla stato, Irpef compresa, e redistribuirlo “sul territorio”. Come? Per finanziare un reddito di cittadinanza da 600 euro mensili (più che in Germania e Norvegia); costruire mille alloggi popolari; assumere vigili urbani e pagare di più i lavoratori socialmente utili, i famigerati “lsu” retaggio degli anni Novanta. De Magistris, in calo nei sondaggi, ha firmato la delibera alla vigilia del 1° maggio, senza copertura finanziaria. Lo stato, e dunque tutti i contribuenti, dovrebbero poi provvedere a Sanità, istruzione, trasporti, “come dice la Costituzione”, nonché a ripianare i bilanci di 23 municipalizzate in deficit di circa 300 milioni di euro.

 

Per non parlare del debito di otto miliardi della sanità campana, commissariata da Renzi. La Puglia, con un  debito sanitario di 0,6 miliardi, ha invece beneficiato di un prestito di 186 milioni di euro della Cassa depositi e prestiti, e ora è la gestione dei soldi statali ed europei al centro dello scontro tra Emiliano e il premier. Il governatore rifiuta di sottoscrivere la divisione dei fondi di sviluppo per il sud previsto dalla legge di Stabilità, noto come Masterplan; sostiene che i finanziamenti, ridotti, vengono indirizzati alle regioni “amiche”; il 26 aprile ha scritto a Palazzo Chigi rivendicando le virtù contabili pugliesi. Tuttavia è un dem non renziano come Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera, a dar torto a Emiliano: “Ha un bilancio iper-frammentato e poco trasparente. Ha più centri di formazione che formati. E se non firma per motivi politici, lo dica e spieghi che cosa farà dei fondi pubblici”. La Corte dei conti, intanto, ha trovato irregolarità nel bilancio 2015, soprattutto nei finanziamenti alle aziende partecipate. La Toscana figura tra le regioni virtuose. E il presidente Rossi, dopo aver ottenuto dal governo cospicui finanziamenti per i porti di Livorno e Piombino, ha varato un  welfare regionale che va dal reddito di cittadinanza al finanziamento di lavori di pubblica utilità, fino agli sconti per ciclisti sui treni. Il tutto si è tradotto nell’autocandidatura alla successione a Renzi alla segreteria del Pd “per riportare a sinistra il partito, nel solco di Antonio Gramsci”.

 

Ma anche fuori del perimetro dei democratici la tentazione assistenzialista è buona per far campagna elettorale. Giorgia Meloni afferma che non basta lo status di Roma Capitale, già costato 1,5 miliardi di euro di fondi pubblici: “Serve un vero statuto speciale”. Inoltre vuole “espropriare gli incassi del Colosseo e degli altri monumenti e musei statali”. La grillina Raggi esclude privatizzazioni nelle partecipate capitoline, e niente tagli tra i 62 mila dipendenti del comune, “meglio farli lavorare”. Mentre sul debito di 8,8 miliardi, per l’80 per cento detenuto da Cdp, ha una ricetta greca: “Va ristrutturato”.