Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan

Fatta la flessibilità, facciamo la crescita

Redazione
Il Def approvato, il via libera europeo e come abbassare le tasse

Fatta la flessibilità, facciamo la crescita. Qui si parafrasa Massimo D’Azeglio per sostenere che probabilmente nei prossimi giorni realizzeremo che anche quest’anno, dopo mesi di tira e molla sui decimali, di retroscena giornalistici e comunicati al vetriolo, il governo italiano avrà spuntato a Bruxelles qualche miliardo di deficit in più. Nel Documento di economia e finanza (Def), che l’esecutivo ha discusso e approvato ieri sera, si indica infatti un percorso di riduzione del rapporto deficit pubblico/pil più graduale di quello originariamente concordato con la Commissione europea. Al momento in cui questo giornale va in stampa, le cifre trapelate sono le seguenti: il rapporto deficit/pil è stimato al 2,3 per cento nell’anno in corso (all’1,8 nel 2017); il rapporto debito pubblico/pil in calo praticamente impercettibile – ma in calo, scommettono a Via XX Settembre – dal 132,7 per cento del 2015 al 132,4 per cento di quest’anno. La Commissione Ue ammonirà, ma lascerà correre. Detto questo, non si vuole certo minimizzare lo sforzo politico-diplomatico messo in campo negli scorsi mesi sulla direttrice Roma-Bruxelles. Ma ribadire che questa non può essere la tappa finale di una politica economica. Ora “facciamo la crescita”, dunque, perché una decina di miliardi di spesa pubblica in più – nonostante la potente vulgata anti austerity – non rilancia lo sviluppo (la vicina Francia docet). Che fare, dunque?

 

Muoversi su due piani. Per quello interno, il governo dice di avere le idee chiare: a maggio interverrà per facilitare la contrattazione aziendale (benissimo) e defiscalizzare gli investimenti di una certa durata sulle imprese di taglia media (benissimo tutto ciò che scalfisce la retorica delle “rendite finanziarie brutte e speculative”). Nel Programma nazionale di riforme (Pnr) allegato al Def si parla anche di uno stop alla giungla delle agevolazioni fiscali. Nel nostro piccolo non smetteremo di ripetere che, invece della politica dei bonus ad categoriam, è meglio una poderosa riduzione delle tasse da concentrarsi sui produttori (Ires) e se possibile ancora sui lavoratori (Irap). Per renderla credibile e sostenibile – agli occhi dei contribuenti e delle future generazioni, non di un commissario europeo – sarebbe ottimo effettuarla a fronte di un simil-taglio di spese, ma sappiamo pure che l’ottimo è nemico del bene. Un po’ di deficit, a fin di meno tasse, non scandalizzerebbe noi e non dovrebbe scandalizzare nemmeno Bruxelles. Questo il secondo fronte su cui insistere fin da subito in Europa: come dimostra uno studio appena pubblicato da Zsolt Darvas per il Bruegel Institute (think tank brussellese filocomunitario), il calcolo del saldo netto strutturale è troppo teorico e aleatorio per farvi discendere manovre correttive annuali. Il ministro Pier Carlo Padoan ha già sollevato formalmente la questione in Europa con una lettera; ci sono buoni argomenti per insistere. Sono argomenti realistici, non scappatoie per spendere.

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