Le autorità pubbliche impongono un altro stop alle mega-fusioni globali

Alberto Brambilla
Perché alcune recenti operazioni dal valore miliardario (Pfizer-Allergan, Halliburton-Baker Huges, Orange-Bouygues) sono d’incerta soluzione a causa di interventi regolatori e dello stato.

Roma. La lunga sequela di mega-accordi tra colossi multinazionali discussi  di recente e in seguito scoppiati consiglia cautela agli investitori interessati alla riscossa dei processi di fusione e acquisizione. Alcune recenti operazioni dal valore miliardario sono deragliate o sono d’incerta soluzione a causa di interventi regolatori sopraggiunti, sia a livello nazionale sia sovranazionale, che ridisegnano il perimetro degli accordi o ne impediscono il successo. Le fusioni tra compagnie di nazionalità diverse, o che interessano più stati, sono quasi la metà dei deal globali, circa il 43 per cento, e sono in aumento rispetto alla metà degli anni Novanta quando rappresentavano 1/6 dell'attività, dice l’Economist. I settori che sono più sferzati dalle ondate di fusioni/acquisizioni sono il farmaceutico e il settore media/telecomunicazioni. Ed è qui che scricchiolano gli ultimi patti societari rilevanti intavolati.

 

Pfizer-Allergan. Il collasso della fusione da 160 miliardi di dollari tra l’americana Pfizer e l’americana con sede fiscale irlandese Allergan, due case farmaceutiche, sta destabilizzando il mercato. La rinuncia a fondere la società del Viagra (Pfizer) con quella del Botox (Allergan) ha portato il valore dei deal andati in fumo quest’anno alla cifra record di 376 miliardi di dollari. Pfizer cerca da tre anni di liberarsi delle autorità fiscali americane e spostare la sede fiscale altrove – deragliò già il tentativo di take over sull’inglese Astrazeneca. Pfizer stavolta ha rinunciato dopo che il Tesoro americano aveva inviato alla società delle raccomandazioni che avrebbero di molto ridimensionato i benefici dell’“inversione fiscale” in Irlanda, dove Allergan ha sede.

 

Halliburton-Baker Huges. Il Dipartimento di giustizia americano ha bloccato con un’azione legale il take-over di Halliburton verso Baker Huges che avrebbe creato il secondo fornitore mondiale di servizi all’estrazione e trasporto di idrocarburi dopo Schlumberger. L’operazione vale 25 miliardi di dollari e rappresenta uno dei più grandi accordi in campo energetico degli ultimi anni. Ci sono stati solo 11 accordi in questo settore che hanno superato i 20 miliardi di dollari dal 1995, secondo Dealogic. Per il Dipartimento di Giustizia la fusione tra il secondo e il terzo produttore di servizi petroliferi comporterebbe una riduzione della concorrenza, la distorsione del mercato energetico e colpirebbe i consumatori americani: il 90 per cento dei ricavi di Halliburton derivano da operazioni e servizi che sono offerti anche da Baker Huges, con una sostanziosa sovrapposizione delle competenze. Halliburton promette battaglia e dice che il piano di dismissioni permetterà di superare le obiezioni dell’Amministrazione Usa.

 

Orange-Bouygues. Il tanto strombazzato accordo da circa 10 miliardi di dollari tra le compagnie telefoniche francesi rivali Orange, di cui lo stato è primo azionista, e Bouygues Telecom, privata e di proprietà dell’omonima dinastia imprenditoriale, è deragliato con motivazioni controverse. Per gli analisti i problemi pratici alla fusione riguardavano: l’intenzione di Bouygues Telecom di difendere la sua forza lavoro che non sarebbe statutelata a sufficienza, divergenze sul valore della quota di Bouygues in Orange e la difficoltà nel valutare il valore del business di Bouygues. Dietro il collasso dell’accordo c’è anche la non peregrina diffidenza di Bouygues verso lo stato francese – nelle trattative, riferiva martedì il Financial Times, il ministro dell’Economia Emmanuel Macron aveva chiesto a Bouygues di evitare di aumentare la sue quota in Orange per sette anni e anche impedendogli per un decennio di potere beneficiare, in quanto azionista longevo, di doppi diritti di voto in assemblea, in deroga alla legge francese che invece dovrebbe garantire questa prerogativa.

 

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.